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Quelle Brigate che nemmeno Osama riconosce

Gian Marco Chiocci

da Roma

Se la minaccia del terrorismo islamico che incombe sull’Italia è considerata concreta, decisamente meno sembrano esserlo le sedicenti brigate islamiche che hanno «avvisato» il nostro Paese e che dal 2003, nel nome di Abu Hafs al-Masri - pseudonimo dell’egiziano Mohammed Atef, defunto numero tre di Al Qaida, consuocero di Osama Bin Laden - vanno spargendo anatemi, intimidazioni, rivendicando attentati. Tutto rigorosamente online.
Sono due anni che le agenzie di intelligence occidentali si confrontano con l’evanescente entità telematica che è tornata a lanciare l’ennesimo ultimatum a Roma e che già aveva rivendicato le stragi alla sede Onu di Bagdad (25 agosto 2003), alle sinagoghe di Istanbul (16 novembre 2003) e alla stazione di Madrid (11 marzo 2004), non ultima Londra (7 luglio 2005). E sono due anni che nessun riscontro ha mai provato come dietro l’organizzazione vi sia qualcosa più di una scatola vuota: un megafono del credo fondamentalista utilizzato da chissà chi per allarmare e depistare. Secondo un’analisi della Cia non c’è prova del collegamento diretto fra Al Qaida e le «brigate». Piuttosto vi potrebbe essere - scrivono gli 007 della Central Intelligence Agency - una convergenza di interessi che farebbe da collante fra «la base» di Osama e questo evanescente network mediatico snobbato persino dal «Dipartimento comunicazioni» di Al Zarqawi gestito da Abu Maysirah Al Iraqi, il portavoce ufficiale di Al Qaida in Iraq. Presumibilmente strutturata su piccoli sottogruppi con diversi gradi di affiliazione alla casa madre del terrorismo internazionale, «la struttura delle Abu Hafs - si legge nell’informativa - potrebbe aver fatto precedenti false rivendicazioni, come prendersi il merito per il black out a New York del 2003 (attraverso il sito internet del Centro di informazione islamica mondiale) che pochi giorni prima aveva oscurato gli Stati Uniti e il Canada per una falla nella rete, seguendo una campagna di disinformazione mirata a drenare risorse ai servizi di sicurezza occidentali e ad apparire come un fronte sunnita unito più grande di ciò che in realtà è».
Larry A. Mefford, dirigente dell’Fbi, davanti alla commissione Usa sulla sicurezza delle infrastrutture ha supportato questo ragionamento chiarendo che «la rivendicazione delle Brigate Abu Hafs al-Masri nell’aver causato il black-out appare nulla di più che un’illusione. Non abbiamo alcuna informazione sull’effettiva esistenza di questo gruppo» che fino ad allora aveva rivendicato di tutto: dall’attentato del 5 agosto 2003 al Marriot Hotel di Jakarta a un incidente aereo verificatosi in Kenya il precedente 19 luglio.
Se all’inizio sembravano promettere bene, col tempo le Brigate hanno perso credibilità tra le formazioni satellite della galassia jihadista. Minacciare sfracelli e non mantenere fede alle intimidazioni, nell’«ambiente» è considerato sinonimo di scarsa professionalità. Da qui la pessima reputazione. Il 26 luglio 2004 le Brigate diedero due giorni di tempo all’Italia per lasciare l’Iraq altrimenti avrebbero iniziato «a usare il linguaggio del sangue» nel nostro Paese. Dieci giorni prima preannunciarono un imminente bagno di sangue simile a quello dell’11 settembre se gli italiani non avessero cambiato immediatamente governo. Già che c’erano aggiunsero la possibilità di un attacco non-convenzionale che avrebbe prodotto un’enorme catastrofe. «Le brigate - scrive da un anno a questa parte la Cia - rischiano di perdere definitivamente credibilità all’interno della comunità estremista e tra i finanziatori se non rivendicano nel prossimo futuro (a breve) un attacco contro interessi italiani».
Del sedicente gruppo che riesce a conquistare le prime pagine dei giornali italiani minacciando lacrime e sangue, non v’è traccia nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata dalla Comunità Europea. E neppure in quella redatta, e continuamente aggiornata, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America: non c’è fra le prime quaranta sigle, e nemmeno fra le quaranta successive.
Sia il Mi5 inglese che il Mossad-israeliano nutrono dubbi fortissimi sulla reale consistenza delle Brigate che si contraddistinguono «per la ripetitività di messaggi a cui non fanno mai seguire gli attacchi preannunciati». Sarebbe opportuno, dicono, non fare il gioco dei mujaheddin virtuali. È un po’ la filosofia del «bisogna staccare la spina» del guru massmediologo Marshall McLuhan: se ne parlò, senza fortuna, ai tempi del terrorismo rosso.

Se se ne riparla oggi perché la pubblicità, per Osama Bin Laden, è l’anima del suo successo.

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