Enrico e Carlo Vanzina, i «fratelli del cinema», con i loro film-commedia campioni dincassi hanno sempre raccontato fedelmente lItalia popolare con i suoi vizi e i suoi difetti, un'Italia riproposta in modo ironico che ottiene sempre il riscontro con il grande pubblico. Figli del grande regista Stefano Vanzina, in arte Steno, i fratelli Vanzina attualmente hanno in preparazione un nuovo film che uscirà a febbraio e un giallo ambientato a Milano. Enrico, nato a Roma, classe 1949, sceneggiatore e regista, ci parla di Milano, di cinema e dei suoi ricordi.
Roberto Formigoni da Venezia ha appena proposto di valorizzare e raccontare la Lombardia e Milano attraverso le fiction. Secondo lei Milano è un set ideale per girare film?
«Milano costituisce un centro vitale del nostro Paese, quindi non può che essere una location interessante. Beh, noi possiamo dire che Milano ci ha aiutato: io e mio fratello Carlo abbiamo cominciato a girare i nostri film proprio in questa città, che ci ha portato fortuna. Il nostro primo vero successo è stato I fichissimi; poi sono arrivati Eccezzziunale veramente (un vero cult), Via Montenapoleone, Sotto il vestito niente, Yuppies... In effetti siamo considerati romani ma in realtà la nostra è una famiglia milanese. C´è ancora un parente in Galleria che ha un negozio di ottica. Siamo l´ultimo ramo rimasto...».
Lei e suo fratello Carlo, dal 1984, anno in cui fondaste la casa di produzione Video 80, siete un team vincente e realizzate con continuità pellicole record d´incassi. Quali sono gli ingredienti per ottenere un consenso così diffuso e duraturo?
«Francamente non so a quali "ingredienti" attribuire il nostro successo: diciamo che abbiamo deciso di rimanere dentro il solco della commedia allitaliana, quella che conosciamo meglio. Mio fratello Carlo ha fatto l'aiuto regista con Mario Monicelli e Alberto Sordi, io con mio padre Steno, e quindi siamo nati in quel mondo e in quel mondo: il mondo della commedia. Così, quando ancora eravamo molto giovani, pensavamo che continuare a raccontare l´Italia con i suoi vizi e i suoi difetti, in modo affettuoso e in maniera buffa, facesse parte del Dna nostro e di chi fa cinema in Italia».
Ma in futuro pensate di cambiare genere?
«Il Paese cambia continuamente e cambiamo soprattutto noi, che non abbiamo più 30 anni ma qualcuno di più, ed è chiaro dunque che il modo di guardare le cose cambia. Quello che mi dispiace è che non vedo più molti giovani che si dedicano al filone della commedia. Moltissimi ragazzi cercano di affermarsi come autori tralasciando il genere, dimenticano però che le commedie di Mario Monicelli e Dino Risi sono tra i più grandi "prodotti" della nostra cinematografia. Mi piacerebbe assistere a un "rinascimento" della commedia. Secondo me, se un giovane di oggi raccontasse il suo mondo, come si diverte, come fa sesso e come si rapporta con i genitori in maniera divertente, avrebbe certamente successo. Nessuno però lo fa».
Ammesso che ci sia crisi anche nel cinema, come pensate di aggirarla?
«La crisi cè anche sul grande schermo. E va considerato che una persona per andare al cinema deve uscire di casa, pagare un biglietto, parcheggiare la macchina... Per cui bisogna fare i film per la gente. Sia dautore che di genere. Non scordiamoci che in passato anche i film di Fellini, Visconti, Rosi o Petri avevano un enorme successo al botteghino, pur essendo dautore. Oggi si tende a pensare che il film dautore sia solo unesercitazione personale, buona per i festival. Invece, anche se si fanno film ad esempio a sfondo politico o sociale, vanno sempre girati con grande senso dello spettacolo. Soprattutto il cinema, poi, deve cercare di differenziarsi sempre di più da quello che trasmette la tv tutte le sere. Il cinema deve saper essere talvolta anche politicamente scorretto, più coraggioso... insomma: deve essere diverso».
Lei ha lavorato con grandi registi come Nanni Loy, Mario Monicelli, Dino Risi... Cosa è cambiato nella sostanza dal cinema di allora a quello di oggi?
«Sono cambiati i ruoli: oggi gran parte del cinema italiano lo fanno attori che sono stati promossi a registi, sceneggiatori, spesso anche musicisti. Per cui accentrano nella loro figura il film. Al contrario, come accadeva in passato e come accade ancora oggi in molti Paesi del mondo, il cinema devessere un lavoro di squadra. Nel senso che cè chi scrive, cè chi dirige, cè chi fa lattore, cè chi fa il produttore, con ruoli ben definiti per ognuno. Ecco, oggi manca un po questa divisione dei ruoli. Inoltre, si sente la mancanza di produttori appassionati: erano persone magari un po matte che, però, sentendo delle idee che li entusiasmavano, rischiavano dei soldi e producevano i film. Oggi la figura del singolo produttore-imprenditore non cè più: tutto è legato alle compagnie».
Ha un ricordo particolare del cinema di quegli anni e dei grandi registi con cui ha lavorato?
«Ecco, per esempio, Dino Risi. Ricordo che facemmo un film per la televisione a Milano dal titolo Vita con i figli, con Monica Bellucci e Giancarlo Giannini: io in quel caso ero il produttore. La cosa curiosa è che Dino Risi, che era scaramantico, voleva a tutti i costi stare al Grand Hotel et de Milan, che in quel periodo era chiuso per restauri.
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