Caro Granzotto, leggo sul «Giornale» le reazioni al servizio giornalistico e al suo commento dedicato allimpudenza della «Stampa» di Torino che aveva pubblicato una finta pagina dell«Avvenire» contenente fantasiose dichiarazioni del Papa contro Berlusconi. Dove risulta che in sostanza i colpevoli siete voi e non chi ha propagato un falso giornalistico. E la deontologia professionale? E le scuse a Silvio Berlusconi, prima vittima dellignobile fotomontaggio?
Brutta storia, caro Massari. Da un lato cè Mario Calabresi, il direttore de la Stampa, che reagisce infastidito, quasi che laverlo chiamato in causa configuri il reato di lesa maestà, liquidando la faccenda della prima pagina taroccata dellAvvenire con una alzata di spalle, robetta da niente e della quale è ozioso discutere. Passando poi ai toni dolenti, si dichiara amareggiato per avere, io, «tirato in mezzo» la sua «storia personale». A parte limpunito «tirare in mezzo», sulla Stampa, la storia personale di Berlusconi, è imbarazzante veder ridotto lassassinio del commissario Calabresi - una piega nera e dolorosa della nostra storia, un episodio che ha lasciato unimpronta indelebile nella coscienza collettiva del Paese - a una disavventura domestica. Lo diventa ancor più quando, con fatale contraddizione, a «tirarla in mezzo» è poi lo stesso interessato, che scrive: «Se cè qualcosa che ho imparato a mie spese è proprio quanto sia importante fare attenzione alle parole, alle criminalizzazioni e come sia fondamentale ricordarsi che ogni riga di giornale parla di esseri umani». Lezione che stando ai fatti non ha imparato del tutto. O che preferisce dimenticare se si tratta di «tirare in mezzo» Silvio Berlusconi. Tantè che quello che Mario Calabresi ha fatto o ha consentito fare (rendendosi così colpevole di «mancato controllo», reato cui può incorrere il direttore dun organo dinformazione che viene meno al «dovere di vigilare») è, per dirla fuor di metafora, una porcata. Della quale un vero giornalista democratico, come Calabresi si dice convinto che «la faziosità e la cultura della divisione e della contrapposizione siano le vere responsabili dellavvelenamento del clima di questo Paese», avrebbe dovuto per primo chieder scusa a chi ne fu la vittima, Silvio Berlusconi. Come cera (purtroppo) da attendersi, i professionisti dellantiberlusconismo si son fatti subito vivi asserendo che la porcata non laveva fatta Mario Calabresi, ma il Giornale e, nella fattispecie, il sottoscritto. O meglio, più che porcata, «sconcezza», come si legge nel blog di Marco Travaglio, «il frutto spontaneo della gara al servo più servo che è in corso negli house organ alpapponici. Perché al bulimico padrone non basta più nemmeno la piaggeria di un Giordano né lobbedienza di un Belpietro (...). Ora Al Pappone pretende, se possibile, di più. E Granzotto ha voluto dimostrare che tutto è possibile: anche superare in servilismo Mariolino Linguadivelluto». Il bue che dice cornuto allasino. A tal punto servile sono lanimo e la penna di Marco Travaglio che vede servi dappertutto. Annoverando la denuncia di un falso giornalistico - lui, proprio lui! - fra le sconcezze. Solo perché vittima di quel falso è Berlusconi, «Al Pappone», come soavemente, elegantemente lo chiama Travaglio.
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