"Quell'urlo al Mundial cancellò la mia carriera"

È stato l'immagine del nostro calcio: "Che rabbia, sembrava che avessi fatto solo quello. Quando iniziai non mi voleva nessuno, ero troppo magro. Però non ho mai mollato"

"Quell'urlo al Mundial cancellò la mia carriera"

Ha cambiato vita, è tornato alle origini: oggi coltiva la terra. «Sto cercando di mettere giù degli ulivi: però lo faccio da solo, a mano, perché i miei figli mi proibiscono di prendere la sega a motore». Marco Tardelli ha smesso di essere un campione di calcio dopo il gol alla Germania nel Mundial '82. Dopo, con la sua corsa infinita, i pugni chiusi e la faccia da pazzo, è diventato l'immagine del calcio italiano. Un urlo di vittoria, di rabbia e di orgoglio. Di un Paese che forse non c'è più.

Lei dice di aver odiato l'urlo mundial. Cos'ha di negativo: è epico, liberatorio persino bello...

«Sembrava non avessi fatto altro nella vita che gridare. Quell'urlo ha cancellato tutta la mia carriera».

Addirittura...

«I miei amici mi prendono in giro ancora adesso: eh, tutte 'ste storie per un urlo che hai fatto... manco fossi stato Tarzan».

E sì che è stato un gran gol...

«Sì, ma non come quello che ho fatto al Verona con la maglia del Como. Tiro al volo sul palo opposto su cross da fuori area. Gol da cineteca. E non c'è neanche un filmato».

Eppure solo tre momenti hanno fatto la storia d'Italia: il quattro a tre di Rivera, l'urlo di Tardelli e la testata a Materazzi. Dica la verità una craniata a Materazzi gliel'avrebbe data pure lei...

«Marco giocatore era più scontroso di una testata. Però quando gli chiesi aiuto per un ragazzo malato di Bergamo, suo tifoso, disse subito sì. È una persona fantastica».

Lei è stato l'ultimo tentativo dei suoi genitori di avere una figlia femmina dopo tre figli maschi. Fortuna che è sempre stato un ragazzo ribelle...

«In realtà ho rischiato di morire appena nato. Il latte di mia madre non aveva le proteine per nutrirmi e non se n'era accorto nessuno. Mi salvò la vita all'ultimo minuto l'intuizione di un piccolo medico della mutua».

A proposito di medici: uno le disse di smetterla con il calcio perché non era lo sport per lei...

«Ero magrissimo, gracilino, sembravo uno scheletro. Da quello comunque non siamo andati più».

E l'hanno scartata tutti: Fiorentina, Inter, Milan, Torino.

«Il motivo sempre quello. Bravo, ma troppo secco. Ero prigioniero del mio poco peso».

E com'è finito poi da adulto a fare la pubblicità per un prodotto dimagrante?

«Perché poi ero ingrassato...».

Dulcis in fundo nemmeno Tardelli credeva in Tardelli...

«Nella mia stanza di ragazzino mi fingevo lo speaker dello stadio e declamavo: Facchetti, Mazzola, Rivera, Tardelli... Poi mi dicevo: chi vuoi si ricordi un nome come Tardelli?».

E con tutte queste sfighe come ha fatto a diventare Tardelli?

«Mi sono guadagnato tutto centimetro per centimetro. Se nella vita non c'è benzina, voglia di osare, di lanciarsi in un'impresa, è difficile che i desideri si avverino».

Lo dica ai ragazzi di oggi. Pessimisti, frustrati, rassegnati...

«I ragazzi di oggi hanno passione e voglia di fare. Come dice mia figlia Sara, la mia storia può servire a dire ai ragazzi: tranquilli, ce la potete fare, i momenti difficili ci sono per tutti, non è che se tu li provi sei un perdente o non sei all'altezza».

C'è sempre un passato di felicità povera nelle storie di voi calciatori: se non erano i soldi cosa dava la felicità?

«Stare tutti insieme in famiglia era fantastico anche se non mangiavi tutti i giorni la carne, facevi il bagno nella tinozza e le stanze erano senza riscaldamento. C'erano regole da rispettare: ora non ci sono più nemmeno nella società».

Che genitori aveva?

«Due genitori che ti mettevano in riga. Che ti tiravano uno sberlone se te lo meritavi, cosa che adesso non si può più fare sennò lo psicologo dice che traumatizzi il pargolo».

E con sua figlia come faceva?

«Io urlavo. Ovviamente...».

Lei si è trovato in gravi difficoltà con la sua azienda. Che dire a chi è messo in ginocchio dalla crisi?

«Di stare molto attenti e non essere superficiali. Nessuno ti regala niente, nessuno ti perdona nulla».

Dice: tifavo Inter perché da bambini si tifa per i più forti. Quindi oggi che è adulto non farà il tifo di certo per la Juventus, vero?

«Vero. Io non tifo Juventus...».

Scusi?

«Io ho la Juventus nel cuore ma non ho mai tifato per nessuno. Anzi, le dirò di più...».

Non mi tenga sulle spine...

«Gli ultras non sono tifosi, sono il peggio del calcio. La loro invadenza è colpa delle società che sono diventate conniventi. Hanno paura. Io allo stadio non vado più da anni».

Il pubblico inglese è altra cosa.

«Pubblico inglese che il pugno duro della Thatcher ha cambiato. Basterebbe fare come lei: sono passati dagli hooligans spaccatutto agli stadi di oggi che sono teatri».

Scrive: la Juve era una macchina da guerra dove perdere era peccato. Anche oggi?

«Sì, ma con una differenza: ieri c'erano anche grandi avversari».

Perché, oggi non ci sono?

«Ai miei tempi con quattro o cinque grandi squadre davanti non avresti mai vinto il campionato».

È un campionato povero?

«Una volta i Maradona e i Platini venivano qui. Oggi vanno altrove».

L'Heysel cosa fu?

«Fummo costretti a giocare quella partita, ma non dovevamo. Non la considero una vittoria ma una sconfitta».

Le spiace di più non aver allenato la Juventus o l'Italia?

«Tutte e due. Ma solo con l'Italia c'è stata l'occasione. Poi invece...».

Dopo Conte perché non Tardelli? Sarebbe perfetto...

«Beh, sì, sarebbe perfetto. Però non sarà Tardelli».

È vero che metteva i santini nei parastinchi?

«No, era una medaglietta con la Madonna».

E che ha fatto il chierichetto?

«Perché c'erano i premi partita: biglietti gratis per il cinema e colazioni buonissime».

Un chierichetto che viene bocciato con il 6 in condotta.

«Passavo le mie giornate dietro la lavagna. Mai stato bullo però».

E da ex chierichetto, Bergoglio in che ruolo lo vede bene?

«Attaccante puro. E difficile da marcare».

Ai vostri tempi come facevate a vivere senza cellulare, senza facebook, senza instagram?

«Ah, guardi, si stava benissimo. Andavamo in giro con le tasche piene di gettoni».

Avrebbe retto il silenzio stampa al Mundial con smartphone e ipad?

«Penso proprio di no. Vuoi vedere che abbiamo vinto il mondiale perché non esistevano i cellulari?».

Però poi vi siete sfogati...

«Sì, per festeggiare nella notte abbiamo chiamato a casaccio in Cina, in Giappone. Gridavamo e mettevamo giù. Chissà se avessero immaginato che a svegliarli erano i campioni del mondo».

Bearzot era cattocomunista?

«Cioè un incrocio tra Fernandel e Don Camillo. Un maestro nel conciliare gli opposti. E di onestà».

Noi italiani diamo ancora il meglio quando siamo all'angolo?

«Forse no. Siamo anche cambiati come popolo, le razze si sono mescolate. Diciamo sempre: noi italiani alla fine qualche cosa ci inventiamo. Ho paura che non abbiamo più niente da inventare».

Il talento è democratico?

«Si, perché va dove gli capita».

E il calcio lo è?

«Forse oggi no».

Chi ha ridotto il calcio così?

«Quelli che lo comandano. Maradona diceva trent'anni fa di Blatter quello che oggi dicono tutti. E gli davano del deficiente».

E Platini?

«Forse è solo vittima della sua superficialità. Non credo alle cose che dicono di lui. Perderlo sarebbe disastroso soprattutto per i calciatori che ormai non contano più niente».

Però sono ancora super pagati.

«Perché il successo sportivo viene confuso con la celebrità mediatica e il valore con il prezzo».

Gli arbitri sono al di sopra di ogni sospetto?

«In questo momento credo di sì».

La moviola in campo?

«Temo ormai sia una buona idea».

Moana Pozzi scrisse: mi piaceva molto fare l'amore con Marco. Le ha dato 8. Non è che voleva dire il numero della maglia...

«Non ci avevo pensato. Moana era bellissima e intelligente. Ma anche molto malinconica. Pensare che ad aiutarla a scrivere quel libro fu la madre di mio figlio Nicola».

Ma perché i suoi figli non vogliono che lei usi la sega a motore?

«Perché pensano di avere già un padre rimbambito».

E lei cos'ha da dire in merito?

«Guardi, non mi faccia urlare...».

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