Questa sinistra morirà democristiana

Caro Granzotto, cessato lo stato di riposante svagatezza che accompagna la vacanza estiva, mi ritrovo molto preoccupato per le prospettive politiche che si presentano. Le fratture all’interno del centrodestra, l’emergere di comportamenti spregiudicati forse non penalmente punibili ma riprovevoli di qualche nostra personalità politica, le falle organizzative, il modesto livello mostrato dal personale politico (escluso quello leghista) non lasciano ben sperare in un «dopo Berlusconi» all’altezza delle aspettative dell’elettorato moderato. Naturalmente mi auguro che Berlusconi abbia la forza e la volontà di restare in sella il più a lungo possibile, ma sarebbe da sciocchi non valutare l’anagrafe e la comprensibile stanchezza di un uomo logorato da vent’anni di azione di governo e di battaglie giudiziarie. Mi chiedo dunque con preoccupazione chi potrà raccoglierne, il più tardi possibile, l’eredità e in buona sostanza che ne sarà del vasto e maggioritario movimento liberale al quale mi onoro di appartenere.
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Su con la vita, caro Costanzi. Non che questo sia un momento esaltante, ma dal punto di vista di noi liberali se ne son viste di peggio e se ne è sempre usciti. Gliene ricordo una: pensi al clima del 1976 e al rischio concreto del sorpasso (sventato sull’onda della parola d’ordine lanciata da Montanelli: turatevi il naso). Perché poi tutto si riduce, o meglio si riduceva, a questo, all’eventualità che il comunismo conquistasse il potere riducendo l’Italia, per quel che riguarda le libertà civili, l’economia e la cultura, a una specie di sottoprodotto della Bulgaria. Un obiettivo mancato successivamente dalla sinistra nonostante il pool di Mani Pulite le avesse spianato la strada, e questo grazie alla discesa in campo del Cavaliere. Il quale paga ancora, con l’accanimento giudiziario riservatogli e con lo spregiudicato antiberlusconismo la colpa d’aver rotto le uova nel paniere «sinceramente democratico». Certo, sono d’accordo con lei, la destra politica sta facendosi del male, ma sono bazzecole in confronto al marasma del quale sono preda i cascami di quella che fu la più forte, agguerrita, preparata e micidiale forza di opposizione europea. Quella sinistra, cioè, che ambirebbe tanto, ma tanto, metterci nell’angolo. Chissà dove l’ho riposto, ma per anni ho tenuto sott’occhio, come un talismano, un corsivetto di Michele Serra comparso sull’Unità. Con la consueta malinconica arguzia, in quelle poche righe Serra esprimeva il suo sconforto per come andavano le cose in una Italia dominata dalla Balena Bianca, la Diccì, concludendo con questo auspicio: tutto, ma non voglio morire democristiano. Espressione che divenne poi un tormentone del settimanale Cuore (diretto da Serra) e uno scongiuro molto in voga fra la società detta civile.
Be’, i casi della vita: probabilmente Michele Serra e gli altri come lui devono aver esultato, attorno al 1992. Sembrò loro, infatti, che s’avverasse la speranza di non morire democristiani, però come si dice? Mai dire quattro se non ce l’hai nel sacco. La sinistra si trova infatti nel pieno di una mutazione genetica: da marxista o, se non più marxista, da «democratica» in democristiana. Già ha alla presidenza una figura smaccatamente biancofiore, Rosy Bindi, e non è dir poco. Ma D’Alema, con il recalcitrante consenso di Bersani, ha addirittura in mente di intronare Pier Ferdinando Casini candidato premier del Pd. E Casini non è nemmeno, come la Bindi, un diccì di sinistra: è un diccì a tutto tondo, purus putus, fatto e sputato, con rispetto parlando.

E qui ci siamo, caro Costanzi: il fronte liberale potrà avere anche i guai suoi, ma con i «sinceri democristiani» in campo non c’è proprio partita. Nemmeno se Fini cambia spogliatoio e va a tirar calcetti nel campo avverso.

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