Politica

«Questa volta il leader di An ci ha mancato di rispetto»

Luca Telese

da Roma

Inutile girarci intorno: a lui l’intervista di Gianfranco Fini al Corriere è risultata indigesta, in particolare per un motivo: «Non mi è piaciuta soprattutto una cosa, la critica a chi si astiene sul referendum. Credo che in quel passaggio venga meno un punto cardine, il rispetto reciproco per chi fa scelte diverse. Spero di vederla corretta, almeno in questo». Maurizio Gasparri conosce Gianfranco Fini dall’alba degli anni Settanta, ha condiviso con lui tutte le scelte politiche più importanti della sua vita, stavolta no: ai tre sì del presidente ha opposto il suo invito a non votare.
Onorevole Gasparri, chi è cambiato di più, rispetto ai due ragazzi che fecero la campagna contro il divorzio: lui o lei?
«Senta: nel ’74 io avevo 18 anni, lui 20, sul divorzio abbiamo fatto una normale battaglia politica, senza sovrappiù di passioni».
E sull’aborto?
«Fini non hai mai avuto posizioni particolarmente tradizionaliste, rispetto a quelle che c’erano nel Msi di allora. Io stesso mi sono appassionato molto di più alla battaglia contro le droghe».
E quanto discuteste, all’epoca?
«Che io mi ricordi non ne parlammo mai: eravamo contrari, ma non ci demmo molto da fare. Gianfranco non è mai stato clericale. Persino Almirante era... dantesco. Lo spirito ghibellino, a destra, c’è sempre stato...».
Questa è la prima grossa frattura sui diritti civili, fra voi?
«Le ripeto: siccome per un referendum bastano 500mila firme, lo 0,07 della popolazione italiana, io difendo il diritto di non dover aderire alla causa patrocinata dai promotori. Il quoziente andrebbe alzato, lo dico e ripeto da anni: l’astensione è un diritto».
E il resto dell’intervista, il sostegno ai tre sì?
«Il resto di quello che ha detto Gianfranco non lo condivido nel merito. La miglior riprova di quel che dico? Io ho preso posizione molto prima di lui».
E nel suo partito, lei che ricorda gli elenchi degli iscritti a memoria, che aria sente?
«Stiamo all’unico dato certo, un sondaggio di Mannheimer che precede la scelta di Gianfranco: il 70% era contro il referendum solo il 30% a favore».
E fra gli iscritti?
«Gli iscritti hanno posizioni più tradizionaliste, forse... l’80%».
Si sente più clericale di Fini?
«No, clericale proprio no. Credente e cattolico sì. Aggiungo che da quando mia figlia sta crescendo, si avvicina al tempo dei sacramenti e delle comunioni, dedico molta più attenzione ai miei doveri di praticante».
Se l’astensione vince Fini pagherà un prezzo nel partito, come Fabius in Francia?
«Mi rifiuto di ragionare così: ne ho viste tante, anche le cose più gravi si riescono a sanare».
Però, di fatto, nel gruppo dirigente ci sono la libertà di coscienza del solo leader e di Bocchino, e l’unanimismo di quasi tutti gli altri. Curioso, no?
«In effetti il problema è che siamo arrivati a questa posizione senza aver nemmeno fatto un discussione negli organismi dirigenti. Solo dopo, il 90% per cento dei parlamentari si è pronunciato per l’astensione».
La scelta di Fini è compatibile con un dissenso tanto grande?
«Sono abituato a sostenere la mia linea senza acredine e invettive: non ho detto una parola di polemica con chi va a votare».
Chiedevo di reazioni «esterne». Che conseguenze ci sono?
«Quali conseguenze non lo so. Certo nel mondo cattolico il suo pronunciamento non è passato inosservato».
E Fini lo sa?
«Penso che avrà valutato che questa posizione è compatibile con la leadership della destra».
Addirittura!
«Un uomo non sospetto di clericalismo, Marcello Pera, sostiene giustamente che il nucleo fondamentale dei valori, per il centrodestra italiano, non può che essere nell’identità cristiana».
Lei ne è convinto?
«Ci sono posizioni politiche che sono contingenti, e altre che sono identitarie. Per esempio: da ministro ho fatto una cosa importantissima che è il whi-fi. Ma sono molto più orgoglioso di aver promosso un evento culturale come la fiction sulle foibe».
Si recupera lo strappo tra il leader e il suo partito?
«Dobbiamo trarre la lezione, sulla necessità di discutere e metabolizzare le scelte».
Questo in futuro e oggi?
«Il livello di tensione è alto, non è un momento facile.

Non credo giusto acuire le polemiche, ma non si può nemmeno rinunciare a dare indicazioni alla base».

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