Questione morale: quando a sollevarla sono gli immorali

Mi dica, caro Granzotto: ci penso su da qualche tempo e le chiedo se non sia giusto prendere in considerazione la questione morale, il dovere all’irreprensibilità anche privata di un primo ministro. Cosa mi risponde?
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Ma nemmeno per idea, caro De Maria. Questa infingarda versione della «questione morale» per cui un capo di governo (che però deve chiamarsi Silvio Berlusconi, se no non vale) è tenuto a condurre in privato, fra le mura di casa sua, a porte chiuse, vita sessualmente continente è una cretinissima trovata dell’antiberlusconismo militante. Dicono, i cretini, che ciò si rende necessario per salvaguardare la dignità delle istituzioni. Ma facciano il piacere, manica di sepolcri imbiancati, di ipocriti e moralisti un tanto al chilo. Perché, al mito di Kennedy del quale Veltroni ha la fotografia appesa al muro del suo studiolo ha forse fatto velo la sua intensa attività adulterina di scatenato puttaniere? E Vittorio Emanuele II, al quale il presidente Napolitano e la nazione tutta s’appresta a manifestare l’eterna riconoscenza dovuta al Padre della Patria, artefice primo di quella unità nazionale che riempie i nostri petti d’orgoglio? Ecco cosa racconta di lui Carlo Dossi: «Il suo budget segnava nella rubrica donne circa un milione e mezzo all’anno. A volte di notte, svegliavasi di soprasalto, chiamava l’ajutante di servizio, gridando “una fumna, una fumna!” e l’ajutante dovea girare i casini della città finché ne avesse una trovata, fresca abbastanza per essere presentata a S.M.». Bene, il viavai di fumne, di donne «fresche abbastanza» negli appartamenti del «Re galantuomo», sminuiscono, intaccano forse lo smalto dell’istituzione alla quale dobbiamo l’Italia una e indivisibile?
La questione morale, caro De Maria, bisognerebbe caso mai di sollevarla per quell’anno di appostamenti torno torno la villa di Arcore per fotografare, schedare e porre sotto intercettazione telefonica tutti gli ospiti in entrata, esercizio che avevamo sempre pensato fosse roba da Ovra o da Stasi e che invece attiene, ma guarda tu, all’obbligatorietà dell’azione penale. E che anche così resta una devastante intrusione nella sfera privata del cittadino Berlusconi e di quella di ciascun invitato. È a seguito di tante scornate, caro De Maria, che i fiutatori di biancheria intima e di letti sfatti si sono inventati la panzana dell’obbligo istituzionale di dover trascorrere, sempre ci si chiami Berlusconi, serate a conversare con le pie dame della San Vincenzo o immersi nella lettura dei sermoni di Bossuet. Scornate rappresentate dai numerosi e vani tentativi di pescare, nel pur abbondante bouquet di figliole in confidenza col Cavaliere, la Christine Keeler tricolore. Ricorda, caro De Maria? Nel lontano 1963, quell’escort ante marcia fu cagione della caduta del governo Macmillan. Una icona, dunque, una santa laica per i D’Avanzo che forti di quell’esempio non perdono la speranza che la faccenda si possa ripetere, che sia una escort - basta trovarla - a togliere finalmente di mezzo Berlusconi. Però nemmeno allora andò come i cultori del buco della serratura vorrebbero che andassero da noi le cose. La Keeler non inguaiò Profumo e di conseguenza Macmillan per via dei bunga bunga.

Ma perché si divideva fra il letto del ministro della Difesa - John Profumo, appunto - e quello dell’addetto militare dell’ambasciata dell’Urss. In piena guerra fredda. Nessuna questione morale fu dunque sollevata per i libertinaggi di un membro del governo di Sua Maestà, ma quella più concreta della sicurezza dello Stato.
Paolo Granzotto

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