Antonio Bovetti
Se per fare il pesto ci vogliono sette ingredienti, il basilico è certamente l'elemento vitale per rendere questa salsa genovese la più originale tra tutti i sughi italiani. Sarà l'intreccio tra quel fastidioso vento che soffia sulle alture di Voltri e la salsedine, che si alza dal mare, ma qui a Prà cresce il basilico per eccellenza. «Fuori dalla Liguria u sa de menta - conferma Francesco Ratto, uno dei più noti coltivatori genovesi -. Lasciando da parte campanilismi e dicerie, in nessuna regione dItalia, il basilico ha questo profumo».
Da quante generazioni coltivate il basilico?
«Da tre generazioni. Mio nonno Francesco cominciò nel 1927, mio padre Giovanni ha continuato l'attività; io ho imparato questo mestiere quand'ero adolescente. Dopo la costruzione del casello autostradale, molti dei nostri terreni sono stati espropriati. E io ho faticato fin troppe ore in queste serre!»
Diciamolo: quanto?
«Cominciavo alle 3 del mattino, fino a mezzogiorno; dopo pranzo me ne prendevo un'oretta, dormivo sulla seggiola o dove capitava e poi sotto fino alle 10 di sera».
Ma c'era così tanto da fare?
«Dovevo raccogliere il basilico, fare i mazzetti e caricare il camion per andare a vendere sui mercati il mattino dopo. Bisognava stare attenti alle caldaie, fare le manutenzioni, controllare che non si spegnessero i bruciatori, mantenerli sempre a uno specifico regime di calore. Quando i bruciatori andavano in avaria, mi arrangiavo sempre, la paura di far mancare il calore e perdere il raccolto mi faceva aguzzare il cervello, sostituivo pezzi, riciclavo parti di scorta. Ero la disperazione dei meccanici perché, dicevano, facevo pasticci, ma per me era importante tenere in vita il basilico».
Come ha costruito tutte queste serre?
«Mio nonno e mio padre hanno fatto i pozzi per irrigare i campi, hanno costruito gallerie e cisterne per convogliare l'acqua e avere le scorte. Io ho costruito i vivai, andavo nelle officine dell'Amt e recuperavo i vetri che sostituivano sui tram. Erano bei vetri, dello spessore di 3 millimetri e mezzo, l'ideale, non me ne scappava uno!».
Non ha mai avuto voglia di mollare, e fare il dipendente Amt?
«A volte si! Quando vedevo i tranvieri che a fine turno se ne stavano tranquilli sulle panchine mi prendeva lo sconforto. Io invece, dopo 8 ore di lavoro dovevo ancora correre a comprare letame fuori Genova, caricarmi il camion e rincasare tardi la sera. La domenica però mi riposavo, non c'era scusa o basilico che tenesse, a parte qualche caso eccezionale! Una vita dura, ma mi sentivo libero. Veder le piante crescere è una soddisfazione. Non ho voluto che i miei figli continuassero la mia strada. Hanno studiato e ora praticano attività inerenti all'agricoltura, ma non si devono sacrificare come ho fatto io. Ho sofferto troppo, trascurando la mia vita e qualche volta anche la famiglia».
Comè cambiata la coltivazione negli anni?
«Con le istruzioni che abbiamo imparato al centro sperimentale di Alberga e l'assistenza della Coldiretti, molti lavori si sono semplificati, sterilizziamo il terreno con il vapore a 120° per eliminare tutti i parassiti e gli insetti, senza usare pesticidi e veleni. Abbiamo il trattore che gira nelle serre e che ha sostituito il lavoro manuale, basta carrette e zappe! Con lo spargi-letame in 3 ore si distribuiscono 250 quintali di concime, trent'anni fa, ci volevano quattro giorni! Siamo una cooperativa di circa settanta soci e siamo organizzati bene.
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