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"Qui non è il Pakistan, non tollereremo più questi delitti d’onore"

La parlamentare del Pdl avverte che l’ultimo caso è solo la punta di un iceberg, non soltanto in Italia

"Qui non è il Pakistan, non tollereremo più questi delitti d’onore"

Roma - «L’Italia non è il Pakistan! Non tollereremo altri delitti d’onore»! Quello di Souad Sbai, parlamentare del PdL, è un vero e proprio grido d’allarme, dopo l’ennesimo fatto di sangue (avvenuto in provincia di Modena) ai danni di donne musulmane.

L’omicidio di Novi dimostra che il processo di integrazione degli immigrati in Italia è ancora lontano dal raggiungere obiettivi importanti?
«Purtroppo siamo ancora una volta di fronte al dramma di un’integrazione totalmente fallita. Un cammino lungo e difficile, ostacolato dal predominio indiscusso dei maschi sulle donne della famiglia, costrette a subire in silenzio. Ci troviamo a fare da baluardo contro la segregazione, la ghettizzazione, la prepotenza culturale imposta con la forza della morte, così come accaduto a Hina Saleem o Sanaa Dafani».

Due soli casi non sono un po’ pochi, statisticamente, per lanciare l’allarme?
«Sono solo la punta di un iceberg. Il fenomeno sta emergendo in tutta la sua drammaticità, proprio a causa della diffusione di episodi che non risparmiano nemmeno altri Paesi europei».

Ha dati specifici in merito?
«Le posso dire che alla mia associazione Acmid Donna si rivolgono migliaia di ragazze. In Italia, su 123mila marocchine residenti, solo 7mila provano a ribellarsi a mariti o padri padroni. Il 5 per cento, più o meno. A volte siamo noi stesse a cercare di farle rimanere in famiglia. Nei casi più gravi diamo loro assistenza, le ospitiamo in centri di accoglienza; ma purtroppo servono tanti soldi che è sempre più difficile trovare soprattutto nei magri bilanci delle Pari opportunità».

Non temete che qualche fondamentalista possa prendersela direttamente con voi?
«Personalmente sono abituata a sentirmi rivolgere accuse di razzismo e quant’altro. Ma io la cultura islamica la conosco bene e non mi lascio intimidire. Se difendere i diritti fondamentali delle persone e la vita umana significa essere razzisti, almeno per quelli che lapidano le donne, allora ben venga quest’accusa. Le posso, inoltre, anticipare che domani (oggi, ndr) presenterò una denuncia contro alcuni esponenti di moschee romane che continuano a chiamare il nostro numero verde per chiedere informazioni sospette sull’attività dell’Acmid. Questo non ci impedirà di costituirci parte civile nel processo contro Butthamad Kahn».

Che cosa si può fare, concretamente, per impedire il ripetersi di episodi come quello di Novi?
«Intanto voglio rivolgere un appello al ministro dell’Interno Maroni: chiedo al comitato per l’Islam italiano del Viminale di sbrigarsi ad aprire l’albo degli imam e ad avviare un censimento sulle moschee in Italia. Se davvero il pachistano che ha ucciso la moglie è il proprietario della moschea locale, il fatto dimostra la pericolosità delle moschee “fai da te” da noi più volte denunciate negli ultimi 15 anni».

Dopo un breve trasferimento nel gruppo parlamentare finiano, lei è tornata in quello del PdL: i motivi riguardano anche la politica sull’immigrazione?
«Certamente. Se non stessimo parlando di una tragedia, verrebbe da ridere a pensare al concetto di “generazione Balottelli”, espresso da Fini e da altri suoi seguaci a significare la piena integrazione degli immigrati di seconda generazione, cioè nati in Italia da genitori stranieri. Ma di che parliamo? Questi signori non hanno la più pallida idea delle condizioni in cui vivono donne e ragazze musulmane, segregate in casa, alle quali viene negata perfino l’istruzione nel timore che si emancipino. Siamo di fronte al rifiuto totale dell’integrazione. Ecco perché sarebbe necessario rendere obbligatorio per legge lo studio della lingua italiana. A volte queste ragazze-schiave non conoscono neppure l’indirizzo dove abitano e hanno difficoltà a rivolgersi alla polizia. Una generazione del massacro, altro che generazione Balotelli...

».

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