Di meteore e promesse, purtroppo è piena la storia del nostro tennis. Periodicamente l'eterna attesa di un campione si è accesa di illusioni e si è concentrata sulla celebrazione momentanea di un campioncino in erba, un prospetto con colpi da top ten, un sicuro investimento per riportare le racchette italiane ai fasti di Pietrangeli e Panatta. Questa volto ci risiamo. Un po' come ai tempi di Andrew Howe, grande talento dell'atletica nostrana frenato da una odissea di infortuni, gli addetti ai lavori sussurrano con prudenza il nome di Gianluigi Quinzi, usando tutte le cautele di rito.
Il ragazzo, nativo di Padova ma figlio del presidente del circolo tennis di Porto San Giorgio, durante lo scorso fine settimana ha però scompaginato la liturgia della prudenza. Battendo in tre set l'uzbeko Temur Ismailov con il punteggio di 6-2, 6-7 (4-7), 6-1, il tennista sangiorgese si è aggiudicato a Milano il prestigioso Torneo Bonfiglio ed è diventato a soli 16 anni numero 2 nel ranking mondiale della categoria Under 18 (era quarto, da notare che gli altri ragazzi dell top ten hanno 18 anni). Una vittoria che non solo arricchisce il palmares del giovane tennista che si allena presso la Tennis Academy di Nick Bollettieri a Bradenton (dove sono stati forgiati personaggi del calibro di Agassi della Sharapova, o delle sorelle Williams) ma gli regala la patente ufficiale di giovane promessa del tennis mondiale. Sì, perché un conto è diventare - come già aveva fatto - il numero 1 del ranking ETA, la Federazione Europea di tennis per under 14, un conto è occupare la pole-position dei «primavera» tennistici, quelli pronti a bussare alle porte del circuito Wta.
Certo se Quinzi potrà fare davvero il grande salto lo capiremo tra un paio d'anni. Sono le vittorie o l'atteggiamento in campo con i top 100 che danno un'idea della potenzialità di un giovane e segnano il discrimine tra il giocatore medio e il vincente. Ma è proprio su questa caratteristica, l'essere appunto un «vincente» che molti si concentrano guardando l'approccio alla partita di Quinzi. Grinta, aggressività, tenuta mentale, capacità di sostenere la pressione di un movimento che lo carica di aspettative in quantità industriale sembrano davvero essere le atout giuste della giovane promessa. E' un giudizio che va al di là della tecnica - dove invece in molti leggono difetti ancora da colmare tanto nel gioco a rete quanto nel servizio - è qualcosa che ha a che fare con quella «tigna» che troppe volte sembra mancare ai tennisti nostrani. Una carenza che spesso regala loro molto meno delle stesse potenzialità di partenza.
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