Le radici della Seconda guerra mondiale

In Italia anche lo storico Olivier Wieviorka, il cui nuovo saggio indaga il conflitto

Le radici della Seconda guerra mondiale

Quest'anno si commemora l'ottantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, ma cosa significa tale commemorazione? Quanto sono pesanti le tracce che il conflitto, concluso con l'annichilente violenza di due atomiche, ha lasciato nella nostra esistenza? Se ne discute al Festival èStoria di Gorizia, oggi dalle 9 al Teatro comunale G. Verdi, con gli storici Mimmo Franzinelli, Javier Rodrigo e Olivier Wieviorka. Particolarmente interessante è la presenza di Wieviorka, professore all'Ecole normale supérieure de Paris Saclay, ha pubblicato una Histoire totale de la Seconde guerre mondiale (Perrin, 2023), che proprio ora arriva tradotta in italiano pubblicata da Leg.

L'ambizioso saggio dello studioso francese prova ad affrontare il tema della guerra in maniera diversa e più articolata rispetto alla vulgata. Il punto di partenza è una suggestione di Ernst Jünger: «Sembra che questa guerra porti verso il basso, per gradini costruiti secondo le regole di una drammaturgia sconosciuta. Cose simili, naturalmente, si possono soltanto intuire, perché chi vive queste vicissitudini le vive soprattutto nel loro aspetto anarchico. I turbini sono troppo vicini, troppo violenti, e in nessun luogo... esistono punti sicuri». Lo scrittore non sbagliava, anche perché la guerra fu un'esperienza soprattutto civile, la furia dei combattimenti, come mai prima, si estese alla società civile. Fu una guerra di occupazione, repressione, sfruttamento e sterminio in cui la strage assunse una forma industriale.

Eppure come nota Wieviorka la guerra: «A differenza della Prima guerra mondiale, modificò solo marginalmente i confini nazionali e non favorì in modo particolare la nascita di nuovi Stati. In tal senso, fu apparentemente un ritorno alla mappa del mondo tracciata dai negoziatori di Versailles. Un'apparenza ingannevole...».

Infatti il cambiamento fu nella geopolitica. Le nazioni del Vecchio continente hanno conosciuto un lento e amaro declino di cui le conseguenze arrivano all'oggi; gli Stati Uniti confermarono il loro status di superpotenza, mentre l'Unione Sovietica, nonostante le perdite abissali, raggiunse un rango superiore imponendosi sulla scena internazionale, controllando gran parte dell'Europa orientale e dotandosi, nel 1949, della bomba atomica. Il risultato è una tensione arrivata sino all'oggi, nonostante le illusioni prodotte dalla caduta del muro di Berlino. C'è poi un versante sociologico e umano. Le tragedie subite lasciarono una traccia indelebile nella memoria di milioni di persone. La Seconda guerra mondiale ha proiettato la sua ombra ben oltre il 1945. Ma la memoria della Seconda guerra mondiale non si limita ai ricordi che permeano le coscienze. Essa ha avuto un effetto profondo anche nei rapporti tra Stati, che si riferiscono a quegli anni di ferro per forgiare le loro politiche e condurre la loro diplomazia. Le relazioni sino-giapponesi sono ancora in gran parte governate dal doloroso ricordo delle campagne condotte tra il 1937 e il 1945 dall'esercito del Sol Levante. La campagna di Putin contro l'Ucraina ha pescato a piene mani nel mito della guerra patriottica e della lotta al nazismo, corrompendolo in una propaganda contro Kiev.

Ecco perché il libro di Wieviorka nel suo approccio globale è importante. Si muove su tre direzioni.

La prima. Molti libri guardano alla Seconda guerra mondiale solo da una particolare angolazione, considerando soprattutto gli aspetti militari. Eppure, si tratta di un conflitto da comprendere nel suo insieme. L'obiettivo di questa Storia totale della Seconda guerra mondiale non è di offrire una lettura esaustiva del conflitto (pretesa impossibile), ma di descrivere le connessioni tra i fattori che lo hanno governato. Qualche esempio: le vittorie dell'Armata Rossa davanti a Mosca e a Stalingrado furono certamente dovute al talento di ukov, ma anche alle sorprendenti prestazioni dell'economia sovietica. Nella disperata resistenza del Reich nel 1945, le considerazioni militari giocarono solo un ruolo marginale: gli strateghi sapevano che la partita era persa, ma la lotta fu ideologica...

La seconda. Lo sforzo costante del volume è divulgare i risultati più recenti di una storiografia in continuo aggiornamento. Molte conoscenze, ritenute pietre angolari dall'uomo comune, gli storici le hanno accantonate da anni. Di nuovo qualche esempio. Contrariamente al mito creato dal dipartimento di Goebbels, il maresciallo Rommel era uno stratega mediocre; l'intervento tedesco in Grecia nell'aprile 1941 non sottrasse energie all'Operazione Barbarossa, il cui fallimento era evidente ancor prima del suo inizio; il tanto criticato bombardamento strategico contribuì in modo determinante alla sconfitta del Reich, ma non riuscì a dissociare i tedeschi dal loro Führer; Pearl Harbor non fu affatto una vittoria clamorosa per il Giappone...

Infine, e forse soprattutto, ha voluto comprendere le motivazioni degli attori del conflitto. Forse nella Prima guerra mondiale si entrò da sonnambuli. Nel 1939, invece, tutti, dal ministro al più umile cittadino, si aspettavano lo scoppio delle ostilità; tutti avevano vissuto nel timore di questa eventualità durante gli anni Trenta.

«La differenza fondamentale tra l'Europa dell'anteguerra e quella del dopoguerra», osservò Luis Rodríguez-Embil, uno scrittore cubano, «è questa: la prima è entrata in guerra a occhi chiusi, l'Europa di oggi sembra marciare verso di essa a occhi aperti». Ma quegli occhi aperti non videro i piani di Hitler che erano in bella mostra e Wieviorka spiega il perché.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica