Rai, la Bindi contesta Veltroni: «Manager unico? Demagogia»

La rivale alla segreteria Pd accende il fuoco dell’Unione contro il sindaco

Rai, la Bindi contesta Veltroni: «Manager unico? Demagogia»

da Roma

Occuparsi di Rai è come toccare i fili dell’alta tensione: si rischia l’ustione. Stavolta a prendere la scossa è il candidato leader del Partito democratico, Walter Veltroni. Come sindaco di Roma non è avvezzo al contraddittorio al quale invece viene sottoposto quale futura guida del Pd. Quando ha invocato l’amministratore unico quale via migliore per salvare l’azienda televisiva pubblica forse non si aspettava di fare la fine del protagonista di Pietre di Antoine: «Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai, sempre pietre in faccia prenderai». O meglio, magari si aspettava di essere criticato dal centrodestra ma non di essere pesantemente censurato pure dai suoi presunti alleati o da chi dovrebbe sostenerlo. La pioggia di pietre che arriva da sinistra sulla proposta di Veltroni è comunque il segno di quanto sia tossico il clima nell’Unione, soprattutto in vista del dibattito sulla nomina di Fabiano Fabiani nel consiglio d’amministrazione Rai al posto di Angelo Maria Petroni. Un dibattito richiesto e ottenuto dal capogruppo di Forza Italia al Senato, Renato Schifani, per chiedere insieme a tutta l’opposizione il rispetto delle regole e dunque l’annullamento della revoca di Petroni. Un appuntamento al quale invece l’Unione non si presenta per niente compatta, rischiando ancora una volta di finire in minoranza a Palazzo Madama. Il fronte della sinistra radicale (Rifondazione, Pdci-Verdi, Sinistra democratica) ha deciso di presentare una mozione con la richiesta di azzeramento del cda, sconfessando pesantemente la scelta di nominare Fabiani, stimato dal premier Romano Prodi e pure dallo stesso Veltroni.
La prima ad attaccare il sindaco di Roma è la sua «rivale» nella corsa al Pd, il ministro per la Famiglia Rosy Bindi, che mostra di non temere lo scontro diretto con il «gigante buonista». «Non mi convince la proposta di sostituire il cda della Rai, con un amministratore unico - dice la Bindi -. Trovo demagogico pensare che questa soluzione sia di per sé garanzia di autonomia e indipendenza. Non si capisce perché dovremmo ripiegare su soluzioni tecnocratiche».
A Gennaro Migliore, presidente dei deputati di Rifondazione comunista, quella di Veltroni appare come una proposta di «lottizzazione unica». Identico rifiuto dal capogruppo dei senatori di Rifondazione, Giovanni Russo Spena, che definisce l’ipotesi «né giusta né praticabile». La capogruppo dei Verdi-Pdci al Senato, Manuela Palermi, silura il primo cittadino di Roma nel metodo e nel merito. «L’eventuale amministratore unico chi lo elegge, a chi risponde - si chiede la Palermi -, su quale progetto viene nominato? La politica attraverso gli annunci è diventata una farsa». Paolo Brutti, componente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai di Sinistra democratica, dice no al commissario unico e chiede di mandare subito a casa il cda. Richiesta che, appunto, dovrebbe essere messa nero su bianco e presentata come mozione probabilmente giovedì in Senato. Sinistra democratica infatti non condivide la scelta di basso profilo sostenuta dal Pd che vorrebbe limitarsi a respingere le mozioni dell’opposizione.
Perché tanto accanimento, anche a sinistra, contro la proposta di Veltroni? Il rischio è ben individuato dal centrodestra: una Rai a uso e consumo del premier in carica. Per Gianfranco Fini, leader di An, con la proposta di Veltroni «si rischia di cancellare il principio del pluralismo: con questo governo ci ritroveremmo un attivista militante dell’Unione o del Pd a fare l’azionista unico della Rai». Per il vicecoordinatore azzurro Fabrizio Cicchitto si tornerebbe indietro «alla Rai di rigida obbedienza governativa come prima della riforma del 1975».


Infine il leader Udc, Pierferdinando Casini, alla luce della rimozione di Petroni sostituito da Fabiani, osserva che l’attuale presidente della Rai, Claudio Petruccioli: «Ha un dovere morale che è quello di dimettersi perché Prodi lo ha messo in condizioni di dimettersi».

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