La realtà è peggiore di quella vista nel Coraggio di Angela

È una parola inglese che vuol dire invenzione, finzione. Ma c’è fiction e fiction. Ci sono improbabili preti-poliziotto; bellissime suore che tirano di boxe; nonni che non conoscono l’incontinenza, la fatica fisica, la perdita di memoria, e al computer sono più svelti di un adolescente; e ci sono invenzioni narrative costruite su una storia vera, nelle quali la fantasia è - per così dire - elemento rafforzativo della stessa storia vera.
Questo è il caso de Il coraggio di Angela, la fiction di Raiuno andata in onda ieri sera e l’altro ieri, e che ha fatto registrare alti indici di ascolto. È la storia di Silvana Fucìto (Lunetta Savino) commerciante napoletana che sei anni fa rifiutò di pagare il pizzo (aveva un negozio di vernici a San Giovanni a Teduccio - quartiere di Napoli - negozio che la camorra incendiò) denunciando gli estorsori. La sua deposizione spedì in galera 15 persone, la pena minore inflitta fu di dodici anni.
Sebbene la stessa Fucìto abbia apprezzato lo sceneggiato (ben ricostruito il clima di impotenza, rassegnazione e frustrazione che vivono gli imprenditori napoletani), non ha potuto non ammettere che «la realtà è ben peggiore». A Napoli il pizzo lo pagano pressoché tutti; non fidatevi di chi afferma di non aver nulla a che vedere con la camorra. La camorra non lascia nessun commerciante in pace, per piccolo che sia. Questa è la ragione per la quale molti chiudono l’attività o lasciano Napoli. Ricordate la scena finale di Così parlò Bellavista? La figlia del professor Bellavista e il giovane marito partono per Milano, decisi a farsi una nuova vita dopo che la camorra ha «visitato» il negozio di articoli sacri da poco rilevato. Chi non fugge, paga; chi non fugge e non paga, è un «miracolato», oppure trova protettori nell’onorata società.
Se è vero - come ricorda la Fucìto - che «nel 2002 le denunce contro il racket erano solo due, e nel 2006 milleduecento!», è anche vero che sempre più quartieri (Barra, Ponticelli, Sanità, Fuorigrotta) si schierano a difesa dei camorristi, i cui capi offrono lavoro, e ben pagato. Quando fu arrestato un boss di Secondigliano, una donna gridò: «Ma quale camorra, ma quale boss! Quello per noi era san Gennaro!».
I coraggiosi come Silvana Fucìto (nel 2005 inserita dal Times fra gli eroi europei) devono fare i conti, oltre che con la camorra (la donna è sotto scorta da tre anni) con gli stessi napoletani. Sembra un controsenso, e non lo è. Devono fare i conti con i politici locali, molti dei quali corrotti quanto «e più che i camorristi» (Bocca); e con i concittadini dediti alla pratica dell’illegalità.
All’anarchia, alla sfiducia per le istituzioni, all’arte di arrangiarsi, si aggiunge, per paradosso, il buon cuore. Già, il buon cuore. Ma questo è un male nazionale (donde il titolo del libro di Bocca: Napoli siamo noi) «gli italiani stanno sempre dalla parte dei ladri». Ladri-poveri diavoli, s’intende, ma pur sempre ladri.


Il coraggio di Angela è il coraggio che dovrebbero avere molti dei miei concittadini: quello di mutar d’abito mentale, smettendola di prendere le difese di quanti frodano (in qualsivoglia misura) lo Stato, perché: pover’ommo, pure isso adda campà.
È anche questa tolleranza che ha prodotto la camorra.

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