RomaSe il no alla guerra era «senza se e senza ma», la solidarietà e il cordoglio per gli italiani uccisi a Kabul sono spesso accompagnati da una congiunzione avversativa. Cè il dolore per latroce attentato, «ma anche» la richiesta di ritiro delle truppe dallAfghanistan. Cè la solidarietà ai parenti dei soldati, peccato che poi si trasformi un unoccasione per criticare le scelte del governo.
A tempo di record sono arrivate le dichiarazioni double face della sinistra radicale. Solidarietà e vicinanza alle famiglie, da parte di Rifondazione comunista «però - si legge in un comunicato del partito di Paolo Ferrero - non possiamo esimerci dal notare come la presenza del contingente militare italiano in Afghanistan è frutto e figlia di una scelta politica e strategica, oltre che militare, assurda e sbagliata. Le truppe italiane vanno ritirate subito». Rilancia il Pdci con Jacopo Venier della segreteria nazionale che richiama tutti a un po di realismo in fatto di conflitti: «Prima che cominci il solito diluvio di lacrime di coccodrillo per i soldati italiani morti a Kabul vogliamo ricordare a tutti che in guerra si muore». Cè poi chi, come il verde Paolo Cento, invita a trarre conclusioni tattiche: «Lazione militare italiana e delle altri alleati è fallita». Dalle parole ai fatti, la sinistra radicale ha anche organizzato un sit in per il ritiro delle truppe da Kabul davanti a Montecitorio. Protesta un po rétro, ma anche una scelta obbligata visto che quella parte politica non ha più una rappresentanza in Parlamento.
Chi invece ce lha è Italia dei valori di Antonio Di Pietro che ieri si è fatto portavoce del partito del «solidarietà, ma... », attraverso il suo sito internet: «Che cosa ci facciamo ancora in Afghanistan? È la domanda che - sono sicuro - se venisse fatta oggi agli italiani, la maggioranza di essi non saprebbe più cosa rispondere. Certo oggi è il giorno del dolore, della partecipazione della solidarietà ai nostri soldati e della vicinanza alle famiglie. Sentimenti che rinnoviamo con tutto il cuore, ma - precisa lex pm - non possiamo esimerci dal porci un interrogativo di fondo. A forza di starci, e di restarci, in Afghanistan abbiamo perso anche la conoscenza delle ragioni per le quali ci siamo andati». Insomma qualche mese fa le ragioni per andarci «potevano pure essere nobili», adesso no.
Il problema non è avere unidea diversa sulle missioni di pace, ma lopportunità di parlarne oggi, fanno notare esponenti di entrambi gli schieramenti. Lo sottolinea un leader allopposizione come Pier Ferdinando Casini: «Lo sciacallaggio politico di chi proprio ora propone di abbandonare lAfghanistan da parte delle forze italiane, inserite peraltro in un contesto multinazionale, ci trova del tutto distanti». Ci prova anche la maggioranza del Partito democratico. Piero Fassino ha chiamato il ministro della Difesa Ignazio La Russa. I due principali candidati alla segreteria, Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini si sono fermati al cordoglio. Poi però la tentazione ha prevalso e il vertice Pd è entrato nella polemica, senza arrivare a chiedere il ritiro ma lanciando la facile proposta al governo di «farsi promotore di una conferenza di pace che apra una riflessione». Come dire: «Facciamo un dibattito». Lennesimo.
Magari per i bilanci politici, si poteva aspettare un po. Fa questa scelta, un po a sorpresa, Nichi Vendola, che appartiene allarea della sinistra radicale, ma rinvia ogni valutazione alle prossime settimane, quando sarà finito il tempo del «dolore e del lutto». Al partito del «cordoglio, ma...
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