Roma - Tremonti è alle corde ma all’orizzonte non si scorge il suo ko definitivo. Berlusconi, se il ministro dell’Economia dovesse decidere di gettare la spugna, non piangerebbe affatto. Anzi. Ma è soprattutto Gianni Letta che, in queste ore, pigia sul freno. Realpolitik, soltanto realpolitik. È il sottosegretario a dettare la linea e cercare di smussare gli attacchi a Tremonti. Un Tremonti difeso più per ragion di Stato che per convinzione. Così, se tutti concordano che il superministro vada in qualche modo commissariato, in tanti convengono che una sua caduta possa avere effetti collaterali devastanti per l’intero esecutivo. Meglio tenerselo, per ora, ma possibilmente arginato.
In questa ottica scema l’ipotesi di costringerlo a far le valigie seppure Scilipoti si spinga a dire che «ci potrebbero essere parlamentari della maggioranza disposti a sfiduciarlo». Una provocazione per dar maggior peso all’«altrimenti si ravveda e non pensi soltanto al futuro di pochi». Idem il capogruppo Cicchitto che arriva ad elogiare il ministro dicendo che occorre «un coordinamento del premier con l’autorevole intervento del ministro del Tesoro e degli altri ministri economici competenti».
Dimissioni? Non ora. Anche perché poi, tra l’altro, il ministro dell’Economia non ha alcuna intenzione di farsi da parte. Qualora lo facesse, poi, chi potrebbe prendere il suo posto? Di nomi se ne fanno tanti: Brunetta, vero e proprio schiaffo a Giulio viste le ruggini tra i due; Sacconi, considerato però un po’ troppo filotremontiano; Grilli, idem come Sacconi essendo stato, tra l’altro, il candidato di Tremonti a Bankitalia; Martino, anima ultra liberista del partito. Dal Pdl, tuttavia, si glissa: «Non è una questione di nomi ma di metodo», dice un pezzo grosso pidiellino facendo intendere che per Giulio è l’ultima chance: adesso deve proprio adeguarsi alla collegialità.
In ogni caso l’altra carta per ridurne il potere sarebbe quello di spacchettare il ministero dell’Economia. Ma anche in questo caso c’è una controindicazione: ci vorrebbero sei mesi per procedere a una riorganizzazione ministeriale mentre il Paese ha bisogno di risposte immediate.
Meglio quindi legargli il più possibile le mani con la cosiddetta «cabina di regia». Un pool di esperti di economia, formata da politici e non, in grado di mettere sul tavolo le misure per la crescita. L’obiettivo è quello di razionalizzare proposte onde evitare di far pasticci come accaduto a fine agosto sulle pensioni, quando si prospettò l’ipotesi di cancellare gli anni di lavoro creati riscattando quelli passati all’università o del servizio militare. Norma scritta e cancellata nel giro di poche ore.
In questo momento si studiano misure per dare una scossa al Pil, cercando i suggerimenti di alcuni big dell’economia. Primo fra tutti quel Gary Becker, premio Nobel per l’Economia nel ’92 e vero e proprio faro dei cosiddetti «sviluppisti», il cui pensiero ridotto all’osso è: meno tasse per chi crea ricchezza, meno rigidità nel mercato del lavoro, meno welfare troppo caro. Si lavora su due fronti: aggredire il debito pubblico e mettere in moto la crescita. Con il timore che Tremonti opponga tutta una serie di «non possumus» e che continui a comportarsi da monarca assoluto dei conti. Insomma, il braccio di ferro continua.
Anche il segretario del Pdl spinge sullo sviluppo: «Dopo gli antibiotici della manovra, adesso daremo le vitamine per la crescita del Paese», dice annunciando anche una vera e propria rivoluzione nel partito: «Basta con i parlamentari calati dall’alto. In futuro i candidati verranno spinti dal basso».
E ancora: «Sceglieremo i nostri candidati a sindaco e presidenti attraverso un’indicazione popolare dal basso che avrà delle regole ben precise che stiamo provvedendo a stilare. Selezioneremo i nostri gruppi dirigenti in modo che arrivino in alto solo i meritevoli».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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