Referendum e ballottaggi: elezioni all’ultimo atto. Poi la palla passerà al 2010 quando saranno in palio le amministrazioni regionali. Ma evitiamo il passo più lungo della gamba: oggi e domani si vota, stamattina le urne apriranno alle 8 e resteranno aperte fino alle 22, poi alle 7 di lunedì seggi a disposizione degli elettori fino alle 15. In campo i ballottaggi nelle città in cui si deve stabilire il nome del nuovo sindaco o del nuovo presidente della Provincia e il referendum, per tutta Italia.
Il primo muro da abbattere è quello del quorum. Non accade da 14 anni che il tetto del 50,1% dei votanti sia superato e di conseguenza nessuna consultazione referendaria ha avuto il timbro di validità dai cittadini. In quell’ormai lontano 11 giugno 1995 gli italiani si erano visti consegnare la bellezza di 12 schede in cui si votava un po’ tutto: dalla privatizzazione della Rai all’orario degli esercizi commerciali, dalle concessioni tv ai contributi sindacali, dal soggiorno cautelare al pubblico impiego e perfino alle interruzioni pubblicitarie. I votanti schizzarono al 58% e gli esiti si ripartirono. Da allora il 50,1% è rimasto un miraggio, nonostante si sia dibattuto di temi importanti: il finanziamento ai partiti, le carriere dei magistrati, la caccia, l’elezione del Csm, le trattenute sindacali, la procreazione assistita, l’ordine dei giornalisti, l’obiezione di coscienza. E via elencando. Tutto lascia supporre però che neanche stavolta il quorum sarà raggiunto. Come si sa, i quesiti chiedono al lettore se cambiare destinazione al premio di maggioranza, dalla coalizione vincente (attuale ordinamento) alla lista vincitrice (come vorrebbero i promotori del referendum): scheda viola per la domanda applicata alla Camera dei deputati, scheda beige per il Senato. Infine le candidature multiple di uno stesso candidato in più collegi, scheda verde.
Ma il referendum che, prima del verdetto, sfida il quorum non è l’unico voto all’ordine del giorno. Mezza Italia sceglie anche sindaci e presidenti provinciali. È la finalissima. Stavolta non c’è più appello. Il match del 6 e 7 giugno si era concluso con un punteggio secco quanto imbarazzante nello scandire la sconfitta del centrosinistra: Pdl batte Pd di 17 lunghezza. Il risultato si spiega considerando l’incremento delle città conquistate dal centrodestra al primo turno (ne aveva nove ha chiuso a 26, saldo +17 appunto) a fronte di un Pd che non ne conquista nessuna e in qualche caso fatica a mantenere le proprie. È questo il caso, ad esempio, di centri come Bologna e Firenze, tradizionalmente tanto rossi da stravincere al primo turno con percentuali «bulgare», ma ora invece arrivate entrambe al ballottaggio con risultato ancora in forse nel capoluogo toscano, mentre Bologna ha l’aria di restare quasi certamente in mano al Pd.
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