Renato, l’ultimo pastore rimasto a Milano

(...)E si è arrangiato come ha potuto, cercando il verde rimasto ancora disponibile. Parla poco Renato, non ha voglia si mischiarsi alla Milano di oggi. Della città gli piacciono poche cose. Forse una sola: i bambini. Ecco, per loro riserva sempre un sorriso. Ama tutto ciò che è ancora pulito e semplice, non ha la tv, non è interessato ai soldi anche se con la sua attività ne guadagna abbastanza. A gestire i conti e i rapporti con i macellai è sua moglie Lucia. Per il resto ha pochi amici: il suo aiutante Piero, anche lui molto silenzioso, e il suo cane Moru, fedele assistente nella gestione del gregge. Così bravo che in tutti questi anni mai una pecora è stata investita né ha mai provocato incidenti o bloccato ferrovie.
Renato, volto solcato e mani ruvide, appartiene al passato. Ed è uno degli ultimi depositari del Gaì, una lingua di origine camuna pre medievale e utilizzata dai pastori. Ad oggi in Europa sono rimasti in pochissimi a parlarla, al massimo una decina. Se gli stai simpatico, ti insegna anche qualche parola: «scriver» significa pane, «maina gagia» vuol dire fidanzata.
L’ultimo pastore vagante di Milano non discende nemmeno da una famiglia di pastori, ma ha deciso di occuparsi di greggi per passione, per inseguire un sogno di bambino. I suoi in realtà gli hanno sempre consigliato un lavoro più stabile, ma non c’è stato verso di convincerlo. Ed è stato un bene perché Renato è una persona felice.
La sua storia, anacronistica e poetica, è unica. Lui, una specie di moderno Don Chisciotte, è un eroe fiabesco che ogni giorno cerca di ritagliarsi una parentesi verde nella frenesia dei cambiamenti urbani, tra i prolungamenti della metropolitana e una città sempre più vasta. Ebbene, ieri mattina Renato ha realizzato un’impresa unica: ha portato 700 delle sue pecore in piazza Duomo. Ovviamente l’iniziativa non è farina del suo sacco. Ma è un’idea di Marco Bonfanti, il suo amico regista a cui (non senza esitazioni) ha concesso di girare un film sulla sua vita fuori dagli schemi. Davanti al Duomo è infatti ambientata l’ultima scena dell’«Ultimo pastore», prodotto da Lombardia Film commision. Renato, nei panni dell’attore protagonista, ha preteso solo una cosa: «Voglio che in piazza ci siano anche i bambini delle scuole. Così potranno vedere le pecore da vicino». E infatti, attorno all’area delle riprese c’erano decine di scolari tra i sei e gli otto anni.

Il film di Bonfanti racconta, attraverso interviste, disegni e interpretazioni, il rapporto tra i bambini delle scuole elementari cittadine e un mondo che spesso non hanno mai visto dal vivo: quello di un pastore e del suo gregge. Roba da favole. Eppure Renato esiste sul serio e vive una Milano tutta sua che gli altri non vedono nemmeno più.

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