RENATO POZZETTO «Amo leggere al parco, oggi vivo Milano così»

«Ma davvero vuol sapere da me cosa penso, come vivo, perché ho scelto Milano amandola al punto di non tradirla mai? È una domanda oziosa, mi creda, rivolta a uno come me», sbotta con ironica bonomia Renato Pozzetto, l'irriducibile meneghino che condivide con l'inimitabile Cochi il primato di fedelissimo dell'antica Mediolanum.
E la sua reazione non si limita a una divertita invettiva di prammatica. Tanto che, a interromperlo, si fa una fatica dannata perché, solo a nominare la nostra città, Pozzetto si anima di un calore inusitato e parte in quarta con l'impeto gioioso di un adolescente d'assalto. Riuscirò o meno, mi chiedo, a frenare tanto dirompente entusiasmo?
«Per carità, non esiste nessun problema», mi calma allora col suo tono esilarante, «il mio entusiasmo esiste e resiste solo perché, in fin dei conti, quando ero giovane io Milano mi limitavo ad attraversarla».
Può spiegarsi meglio?
«Di giorno dormivo, di pomeriggio provavo i miei sketch, poi brancicavo qualcosa, facevo una doccia alle undici e subito dopo mi dirigevo come un lampo al Derby Club. Vedevo l'alba spazzar via dal cielo gli ultimi residui della notte. Ed ogni giorno era la stessa cosa. Perché tiravo mattina coi disadattati, i barboni, gli indesiderabili come diceva nel suo libro Umberto Simonetta».
E oggi?
«Adesso che i tempi di Milano da bere sono finiti da un pezzo, mi sono trasferito tra il verde al Parco delle Basiliche. E faccio, quando posso, la beata vita del patriarca leggendo il giornale mentre attraverso il prato. Perché Milano è anche questa, se lo ricordi».
Verissimo, ma è anche la città dei teatri, il regno notturno dei disc-jockey, la sede prestigiosa dei discografici...Come si colloca Pozzetto in questa prospettiva?
«Noi che abbiam cominciato dal cabaret, siamo in fondo dei portatori di gioia tra le ansie del domani e i disastri del quotidiano. Facciamo della satira perché amiamo la vita. Tanto che persino un refrain, in quest'ottica, può diventare importante».
Sta per incidere un disco?
«Ce n'è uno già pronto. È la canzone che io e Cochi volevamo portare a Sanremo. S'intitola “Finché c'è la salute” ma...»
Ma?
«La commissione ce l'ha bocciata».
C'è rimasto male?
«Per così poco? Mica siamo dei cantanti professionisti. Allora sì ci sarebbe da farci una malattia».
Mentre invece...
«Invece ci siamo fatti una bella risata. In fondo si lavora per il pubblico, ma in primis per noi stessi come raccomandava il titolo di una nostra fortunata trasmissione. Se non riusciamo a sedurre il nostro ego, come si può pensare di sedurre il pubblico che è un noi moltiplicato all'eccesso?»
E cosa mi dice del cinema? È passato tanto tempo da
«Per amare Ofelia», il delizioso film di Mogherini. Anche
se da allora...
«Da allora Pozzetto ha girato più di sessanta film. All'inizio sembrava un passatempo, e poi è diventato un lavoro a tempo pieno. Peggio di uno schiavismo coatto, perché a dir di sì ero sempre io, e se non mi trovavo bene potevo incolpare solo me stesso. Anche se una volta mi son divertito un sacco».
Quando è capitato?
«Con una pellicola di cui la sfido a indovinare il titolo».
Cos’è uno scherzo di nuovo genere?
«Diciamo una provocazione. Così la smetterà di farmi domande».
Mi metta almeno sulla buona strada?
«Lei pretende troppo. Le basta un breve accenno al soggetto?»
Non so se posso fidarmi...
«Be’, posso dirle che era la storia di un uomo disposto a sposarsi solo a patto gli venisse fabbricata una moglie con tutti gli annessi e i connessi.

C'è arrivato adesso?»
Come no! Era “Un amore su misura”, il film di Vittorino Andreoli.
«Bravissimo! Merita un premio. Cosa posso fare per lei?»
Una battuta per concludere in bellezza.
«Eccola qui. Amo Milano, ma vorrei vivere sul Lago Maggiore».

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