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Repubblicani senza un leader dopo la vittoria di Romney nel Michigan

Già tre i vincitori diversi nelle primarie dell'Elefantino. Rudy Giuliani in attesa della decisiva Florida. Deludente il risultato di Fred Thompson. Per lui sembra prossimo il ritiro

Repubblicani senza un leader dopo la vittoria di Romney nel Michigan

Washington - Tutto da copione anche nel Michigan, come se una mano provvidenziale arrivasse ogni volta a salvare il candidato più in procinto di affogare. Huckabee poteva essere lanciato solo dal caucus dell’Iowa e in Iowa ha vinto. McCain puntava sui molti indipendenti del New Hampshire, e il New Hampshire è stato suo. E adesso Romney aveva bisogno di una vittoria nel Michigan, altrimenti finiva fuori gara, e nel Michigan ha vinto. Naturalmente un copione non c’è, la «mano provvidenziale» neppure, e ogni vittoria è incerta fino all’ultimo e sudata.

Il Michigan ha rilanciato Romney con un esito chiaro e un margine consistente: 39 per cento contro il 30 per cento di McCain e il 16 per cento di Huckabee. All’ultimo posto, come sta diventando una sorprendente abitudine, Rudy Giuliani, al penultimo Fred Thompson (di cui si pronostica l’imminente ritiro, scavalcati entrambi dal «candidato corsaro», il libertario Ron Paul che si batte in nome di idee opposte a quelle della stragrande maggioranza dei suoi compagni di partito).

Huckabee non ha ricevuto abbastanza «nutrimento spirituale» dalle zone rurali ed «evangeliche», per McCain c’era un serbatoio troppo magro di voti indipendenti e non è bastato il tentativo di integrarli con qualche democratico come il senatore Lieberman, al suo fianco sul podio nel nome della solidarietà fra i «falchi» sull’Irak. Romney aveva tre assi in mano: il primo una chiara maggioranza di repubblicani e di conservatori «classici», il secondo era il «fattore campo». Nato nel Michigan, cresciuto nel Michigan, figlio di un governatore del Michigan (anche se poi è andato avanti fino a diventare governatore del Massachusetts), ha giocato la carta della nostalgia, giungendo ad affermare che «nel mio sangue ci sono delle automobili di Detroit». Infine ha parlato soprattutto di economia e ha azzeccato il tema del giorno.

Non solo il Michigan è lo Stato con più disoccupati in America, ma è anche il più colpito dagli effetti della globalizzazione. I giganti dell’automobile sono gravemente malati, i posti di lavoro spariscono, è il luogo dove Michael Moore colloca le sue storie più tristi e indignate. Gli economisti allargano le braccia e dicono che certi bei tempi e certi alti salari per i blue collar di Detroit e di Flint non torneranno più. Incautamente lo ha ripetuto anche John McCain in uno dei suoi tanti attacchi di onestà, e Romney lo ha messo ko con una promessa: «Combatterò in difesa di ogni singolo posto di lavoro in questo Stato», uno slogan che fa da battistrada a un programma d’urgenza per il rilancio dell’economia dello Stato e dell’industria automobilistica Usa in genere.

Parole di grande tempismo, non solo nel Michigan, perché strettamente contemporanee a dati e notizie che accrescono i timori di una grossa recessione. Perfino Tiffany ha avuto pessime vendite natalizie, il che significa che anche i mercati di lusso scelgono il risparmio. La Croce rossa, rimasta a secco di contributi e con un deficit di 200 milioni di dollari, ha deciso di licenziare un terzo dei suoi impiegati. Dall’India arriva la Nano, al prezzo stracciato di 2500 dollari. Mai la concorrenza ha sferrato un colpo così ambizioso e potenzialmente pericoloso.

Tutto questo mentre un numero sempre maggiore di americani si convince che le cose vanno male e le ansietà economiche sono più forti di quelle per la guerra o per il terrorismo. Il 77 per cento degli interpellati ritiene che l’America «sia sulla strada sbagliata». Almeno nel Michigan, Romney ha nuotato con la corrente e adesso può respirare, in attesa di test ben più difficili, a cominciare dal Nevada e dal South Carolina. Non stanno molto meglio i democratici. La loro «primaria» nel Michigan è stata confusa e un po’ farsesca. L’hanno organizzata contro le regole del partito, tutti i candidati tranne uno l’hanno disertata. L’eccezione era Hillary Clinton, che pur correndo da sola non è andata oltre il 54 per cento dei votanti. Quasi altrettanti si sono raggruppati sotto la sigla «uncommitted», non impegnati per nessuno, ma, in questo caso, contro di lei.

Tutto per niente: la delegazione del Michigan sarà esclusa dalla Convenzione nazionale che sceglierà il candidato alla Casa Bianca.

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