da Milano
È lultima incognita della fusione tra Unicredit e Capitalia: il diritto di recesso concesso ai soci della banca romana e legato al tetto del 5% nei diritti di voto previsto dallo statuto di Piazza Cordusio. Al prezzo di chiusura di ieri di Unicredit (6,199), tenendo conto del rapporto di concambio (1,12) e del prezzo stabilito dalla Consob per il recesso (7,015), ai soci di Capitalia converrebbe esercitarlo. E la possibilità di dire addio alla Banca di Piazza Cordusio è scattata ieri, con il deposito presso il registro delle imprese della delibera dellassemblea che stabiliva la fusione. I soci che si sono astenuti sul progetto o quelli che non si sono presentati hanno a disposizione 15 giorni. Strada sbarrata, invece, per chi ha votato a favore. Nellassemblea di Capitalia i sì sono stati il 44% del capitale (tra i presenti si sono astenuti lEnte cassa di risparmio di Roma e alcuni fondi). Teoricamente dunque il 56% del capitale potrebbe decidere di essere liquidato. Ma la corsa al recesso non sarebbe senza conseguenze sul nuovo istituto. Nei giorni scorsi a esercitarsi sullo scenario sono stati tra laltro gli analisti di Keefe Bruyette & Woods. Secondo un loro studio con il 10% dei soci romani che decida di avvalersi del diritto limpatto sul «core tier one» (uno dei più utilizzati indicatori di solidità patrimoniale), della nuova Unicredit sarebbe di 18 punti base. Nulla di drammatico, dunque. Ma i vertici di Unicredit hanno deciso di giocare in anticipo preparandosi ad affrontare nel cda del 18 settembre la questione. Lipotesi di cui si è parlato negli ultimi giorni è quella di far cadere il vincolo del 5%, facendo così contemporaneamente venir meno il diritto dei soci di Capitalia. Sulla questione si è espresso ieri anche lamministratore delegato di piazza Cordusio Alessandro Profumo, secondo cui i vertici dellistituto milanese preferirebbero mantenere il tetto ai diritti di voto.
Resta lincognita del recesso
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