Conoscendolo, il primo di gennaio dell’anno scorso, quotidiani e riviste letterarie di tutto il mondo preferirono non spedire inviati a Cornish, dove viveva. Sarebbe stata fatica sprecata, perché lo Scorbutico, il Solitario, nella migliore delle ipotesi li avrebbe mandati a quel paese, altro che parlare dei suoi novant’anni...
Ma da oggi e per un bel po’, c’è da scommetterci, il paesino del New Hampshire che dal ’53 era la «tana» dell’orso J.D. Salinger diventerà la meta di un pellegrinaggio. Ormai lui non può più farci nulla. Come non può gustarsi lo spettacolo di tutta quella gente che da decenni s’interroga sul «mistero» di Hapworth 16, 1924, il padre (postumo) di tutti i suoi racconti in cui compare Seymour Glass, uscito originariamente su The New Yorker. Quelle 30mila parole, pubblicate in Italia nel ’97 dalla piccola casa editrice Eldonejo all’interno di una tesi di laurea, sono una lettera di Seymour ai suoi famigliari, scritta all’età di sette anni. Ma... sono davvero le ultime parole di J.D. oppure, da qualche parte, magari in una cassaforte, c’è dell’altro? E perché Amazon, che ne annunciava un’edizione più... come dire? visibile già nello stesso ’97, e poi l’anno scorso, non ha ancora battuto chiodo?
Insomma, ne vedremo delle belle, fra diritti, eredità, editor, editing e compagnia bella. E i giornalisti ci daranno dentro, visto che l’«orso» è impossibilitato a imbracciare il fucile per difendere la sua privacy, come fece una volta, rischiando di suo. D’altra parte, era fatto così, l’esatta proiezione adulta, e poi anziana, di un giovane Holden, individualista per eccellenza, prima che per antonomasia.
Nel ’53 accettò di parlare con una studentessa per la pagina scolastica del Daily Eagle di Cornish, e ventuno anni dopo (21) si concesse al New York Times. Non ha mai effettuato apparizioni pubbliche, né scritto nulla di nuovo, dopo Hapworth 16, 1924. Ma ora The New Yorker mette online i 13 racconti che dal ’46 al ’65 furono pubblicati sulle sue pagine.
Certo, la decisione di abbracciare il buddhismo zen avrà influito sull’asocialità dello scrittore, ma nel suo pervicace rifiuto del contatto con gli altri c’era di più. Un senso di inadeguatezza forse, che molti scambiarono per supponenza. Durante la guerra, fu assegnato al servizio di controspionaggio, e interrogò i prigionieri di guerra, mettendo a frutto la propria conoscenza delle lingue. Tra i primi a entrare in un campo di concentramento liberato dagli alleati, alla fine del conflitto si offrì per trascorrere un periodo di sei mesi dedicato all’attività di de-nazificazione della Germania. Da quell’esperienza «ricavò» la prima moglie, Shula, ma il matrimonio durò soltanto otto mesi.
Venne poi la stagione dei racconti targati New Yorker e, soprattutto, venne Il giovane Holden, il libro che sta sul comodino del secolo breve. Breve, stringato, caustico e cinico come la sua prosa. Nel giugno del ’55, due anni dopo l’inizio della «reclusione» a Cornish, Salinger sposò la studentessa Claire Douglas. In dicembre nacque la loro primogenita Margaret, mentre nel ’60 nacque il secondo figlio, Matt.
Sulle prime, a Cornish si comportava da persona socievole e aperta, in particolare con gli studenti della Windsor High School che frequentemente invitava a casa sua per ascoltare dischi e discutere di problemi scolastici. Ma, dopo l’intervista alla studentessa che abbiamo ricordato, si ebbe la svolta. «Il desiderio che uno scrittore ha di anonimato-oscurità è la seconda dote più importante che gli sia stata affidata», ha scritto. E fedele a questo caposaldo esistenziale, non ha esitato a trattare male chiunque gli si avvicinasse.
La turbolenta relazione con la diciottenne Joyce Maynard, negli anni Settanta, condita da un mazzo di lettere roventi, mise la parola «fine» alla vita «civile» di Salinger. Da lì in poi, la solitudine sarà l’unica compagna.
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