Simone Di Meo
La marcia indietro della Procura di Napoli è arrivata a 72 ore dalludienza davanti al tribunale del Riesame che deciderà delle sorti dellinchiesta sui presunti ricatti al premier, ma dopo ben quattro mesi dallapertura del fascicolo, con relative intercettazioni sui telefoni di Tarantini e Lavitola in contatto con le utenze - non intercettabili - in uso al premier.
E così, il capo dei pm partenopei, Giovandomenico Lepore, ha deciso di metterla sul tecnico («Attendiamo che si definisca la questione della competenza prima di prendere iniziative») per nascondere lerrore di valutazione che, in queste ultime settimane, andavano ripetendogli avvocati e giuristi: e cioè che lufficio giudiziario napoletano non ci azzecca niente con una vicenda che si è svolta a Roma e che a Roma sarà quasi certamente trasferita dai giudici del Riesame. E non ci azzecca niente sia perché la presunta vittima dellestorsione (Silvio Berlusconi) ha chiarito che i soldi sono stati spontaneamente consegnati presso la sua abitazione romana, a Palazzo Grazioli, sia perché nella Capitale vivono i presunti ricattatori del premier (Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola) e qui la moglie di Tarantini, Nicla, negli uffici delleditore in via del Corso, andava a ritirare le buste coi quattrini. Eppure, nonostante questa gigantesca incompetenza territoriale (rimarcata in più occasioni dagli avvocati di Gianpi, Alessandro Diddi, Ivan Filippelli, Piergerardo Santoro), i pubblici ministeri hanno continuato nellattività inquirente, interrogando il solo Tarantini per ben tre volte alla ricerca di riscontri non solo dei reati che gli sono costati la galera, ma anche di ulteriori piste investigative utili ad allargare lo spettro delle indagini da Berlusconi ai rapporti con Finmeccanica e con i vertici della holding di Stato. Materie che nulla hanno a che vedere con linchiesta madre, evidentemente, ma che ingrossano la portata del procedimento. Senza preoccuparsi troppo della titolarità del fascicolo, i pm hanno anche ascoltato come persone informate sui fatti il senatore Gaetano Quagliariello, lavvocato del premier, Niccolò Ghedini, e i due legali di Tarantini, Nicola Quaranta e Giorgio Perroni, addirittura sollevati dal segreto professionale da un apposito decreto del gip (circostanza, questa, che ha fatto infuriare le Camere penali italiane che hanno denunciato la violazione delle regole del processo e delle garanzie degli indagati). La sconfessione (tardiva) di Lepore sembra avere un altro significato: limplicita rinuncia ai battaglieri propositi, strombazzati a gran voce dai «falchi» della procura, sulla necessità improrogabile di ascoltare ad horas il premier come testimone. Anche a costo di mandare i carabinieri a Palazzo Chigi (soluzione, questa, caldeggiata ancora ieri dal presidente dellAnm, Luca Palamara), i pm volevano sedersi davanti al premier dopo che questi aveva disertato per motivi istituzionali il primo appuntamento, scegliendo invece linvio di una memoria scritta per chiarire i punti chiave della storia.
Ieri, lipotesi dell'accompagnamento coattivo - evocato nelle cronache giudiziarie del 13 settembre scorso come cosa ormai decisa - è stata sminuita dallo stesso Lepore a extrema ratio. Insomma, una remota possibilità vincolata, tra laltro, alla competenza territoriale dellinchiesta. E pensare che, nelle ultime ore, si era addirittura parlato di un ultimatum lanciato dai pm (scaduto domenica) per consentire a Berlusconi di indicare una nuova data per lincontro. Anche su questo punto, è arrivata la smentita del procuratore prossimo alla pensione. Non si può definire un ultimatum - ha detto - quello proposto al premier.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.