Il retroscena Ecco perché Washington scarica gli ex alleati

Dunque, l’effetto domino si sta avverando. La rivolta è esplosa in Tunisia, ha contagiato l’Albania e ora si manifesta in Egitto, dove almeno 15mila manifestanti hanno osato manifestare contro Mubarak. La stampa internazionale ha salutato la ribellione con commenti entusiastici, evidenziando il risveglio della coscienza civile araba. Può darsi che abbiano ragione. Però è lecito essere scettici sulla spontaneità di queste manifestazioni, che invece sembrano incoraggiate da qualcuno e ben organizzate. Ricordate la Rivoluzione rosa in Georgia? E quella arancione in Ucraina? E la contro rivoluzione russofona sempre in Ucraina? Oggi c’è la prova: le prime furono organizzate da società di Pubbliche relazioni americane, la seconda da Mosca. E ora? Nessuno lo sa con certezza.
Quel che colpisce in queste ore è il comportamento dell’Amministrazione Obama. Nonostante Ben Ali fosse considerato un alleato fedele, Washington non ha speso una parola in sua difesa e quando le proteste di piazze sono diventate violente non sono risuonate, nella comunità internazionale, le parole di condanna, né la preoccupazione del Dipartimento di Stato per un possibile contagio e fondamentalista. Anzi, a rivoluzione conclusa, Obama ha salutato «il coraggio e la dignità del popolo tunisino». Nel frattempo erano usciti i file di Wikileaks, come sempre provvidenziali, nei quali risultava che l’ambasciata americana confidenzialmente negli anni passati aveva criticato aspramente Ben Ali. Quando si dice le coincidenze…
Di fronte agli sviluppi in Egitto, Washington sembra ricalcare il copione tunisino. Negli ultimi giorni erano emersi segnali inquietanti sul Cairo, ma Washington non ha fatto una piega.

Ora la folla occupa il centro del Cairo. E Washington tace.
Forse perché l’anziano e malato Mubarak, al pari di Ben Alì, non è più considerato indispensabile dall’Amministrazione Obama? Questa, sì, sarebbe una svolta...
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