Franco Crosiglia
Il 28 ottobre è una giornata storica. È il giorno della marcia su Roma. È il giorno dell'invasione dell'Ungheria da parte della ex Unione sovietica. Ma è anche il titolo del dibattito svoltosi ieri (per l'appunto) all'Hotel Suiss di Santa Margherita ligure. Un dibattito svoltosi per celebrare il 60° della fondazione del Movimento sociale italiano e tutto centrato su una domanda: è possibile la riappacificazione nazionale nella verità storica dopo 50 anni di contrapposizione fascisti-partigiani? Nel dibattito, che ha analizzato l'ultima opera di Gianpaolo Pansa, «La grande bugia», relatori sono stati Vincenzo Gubitosi, Gino Pagni, che è stato una mascotte della Repubblica sociale italiana della decima Mas, Luciano Garibaldi, giornalista storico e Marco Delpino (direttore del giornale di Santa Margherita, Bacherontius).
«Non si tratta di fare una crociata contro questo o contro quello, ma solo di andare alla ricerca della verità secondo le parole pronunciate da Papa Benedetto XVI in Laterano: dove non c'è verità non c'è liberta», è stata la premessa di Marco Delpino. Ed è a questa premessa che si sono attenuti i partecipanti come Luciano Garibaldi che ha scritto libri su fascismo e Resistenza ricordando quello che è stato fatto di buono da esponenti fascisti «come Carlo Alberto Biggini, ministro della pubblica Istruzione, che alla fine cercò di evitare un bagno di sangue contattando elementi partigiani» e antifascisti. Senza dimenticare «l'eroismo degli ufficiali italiani che combatterono nell'ottava armata britannica durante la campagna d'italia».
Si tratta di «una storia che appartiene a tutto il popolo italiano senza distinzioni», Vincenzo Gubitosi non ha dubbi. «Eppure ancora oggi vediamo una larga parte della sinistra scagliarsi contro Gianpaolo Pansa per aver detto quello che ha visto e quello che ha scoperto. Lo accusano - continua Gubitosi - di aver usato un espediente per guadagnare soldi e vendere libri. Ma la gente non si fa fregare. Pansa non fa altro che riprendere e sviluppare i primi trattati pubblicati da Giorgio Pisanò. Come Sangue chiama sangue, che racconta la prima approfondita storia della guerra civile. Pur essendo avversari sul piano politico i due erano amici. C'era una stima reciproca dovuta al gusto per la verità che li univa».
Una verità che va ricercata in quel periodo anche fuori dall'Italia. «Era il 27 ottobre del 56 - racconta Pagni - e un gruppo di studenti fiorentini del Fuan (Federazione universitaria missina) sentono dalla radio l'annuncio dell'insurrezione dell'Ungheria. Un giovane universitario suggerisce: Perché noi non celebriamo il 28 ottobre (Marcia su Roma) sul Danubio? Detto fatto. Si mettono d'accordo e vanno a Budapest. L'insurrezione si conclude con l'invasione dell'Urss che mette in atto una repressione pesante, fucila centinaia di rivoltosi e impicca il presidente del consiglio ungherese Imry Nagy. Mentre i giovani studenti tornano con un gruppo di profughi ungheresi che trovarono ospitalità e aiuto in Italia».
«Una delle tante storie di nostri ragazzi - spiega Gubitosi (che parla del volume appena pubblicato di Massimiliano Griner: I ragazzi del 36, l'avventura dei fascisti italiani nella guerra civile spagnola) - si tratta solo di volerle ascoltare».
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