
La lettera di Beatrice D. A. mi ricorda una famosa battuta che si faceva da ragazzi: «I miei genitori mi hanno sempre dato buoni consigli!». «E che ti hanno detto?». «Ah non so mica li ascoltavo!». Il senso della lettera come ha già spiegato perfettamente lei ruota attorno alla ribellione adolescenziale di fare esattamente il contrario di ciò che ci viene consigliato. La ribellione verso i genitori e contemporaneamente mantenere però tutti i benefit concessi dai genitori visto che ammette candidamente di essere cresciuta viziata nella bambagia. Viva la coerenza allora! E non posso non concludere con due detti saggi del passato: «Ubi commoda ibi et incommoda»: «Chi è causa del suo mal, pianga se stesso». Però... permettetemi di aggiungere cinicamente che nei panni dei genitori alzerei le mani e direi «hai voluto la bicicletta?...».
Cordialmente
William
Caro William, capisco bene cosa voglia dire, e comprendo il senso di “fastidio” che ha la sensazione di provare davanti all’ennesima ragazza (bene) che rigetta (ma solo fino a un certo punto, cioè, secondo lei, solo fino a quando le “conviene”...) tutto ciò che arriva dalla sua famiglia d’origine. È un copione talmente trito: bambagia, ribellione, scelte reattive, pentimento, ritorno in scia... che immagino possa venire a noia. Ma la invito a riflettere su “quando” una simile partitura risulti banale e prevedibile. E la risposta è “dopo”, da adulti. Lei oggi giudica Beatrice, ma lo fa da uomo fatto e finito. Nella fase di vita in cui si trovava invece la nostra protagonista, è più che normale (per non dire un sacrosanto diritto) passare da tutte le fasi necessarie alla propria evoluzione e al proprio affrancamento. È una tappa evolutiva, come mettere i denti, imparare a gattonare, imporsi attraverso la pronuncia stentata dei primi «no». I più fortunati (o risolti, che dir si voglia) esauriscono l’adolescenza in fretta assieme alle conseguenti mattane e fanno in tempo a costruire la propria vita su scelte vere e non di conflitto, gli altri, purtroppo, finiscono col diluirle nel tempo e andare “troppo lunghi” autoboicottandosi, di fatto, da soli. E mi sembra esattamente il caso di Beatrice.
Che però oggi ha l’umiltà di ammettere: forse ho sbagliato tutto, forse avevano ragione “i miei”. È vero, ora potremmo addirittura esagerare e storpiarle contro il detto in «chi è causa del suo mal, “pianti” se stesso». Ma quando qualcuno è già a terra, a me non viene mai voglia di infierire.