Roma - «Non potevamo offrire copertura a una politica estera inaccettabile. L’Udc ha fatto un errore. Ma ora le conflittualità interne al centrodestra devono essere messe da parte, nell’interesse di tutti». Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore di Forza Italia, il giorno dopo il voto sull’Afghanistan, indossa le vesti del pompiere e del sarto, cercando di spegnere i fuochi polemici e ricucire il tessuto della Casa delle libertà.
Onorevole Cicchitto, per quale ragione vi siete astenuti sul decreto di rifinanziamento della missione in Afghanistan?
«In primo luogo la maggioranza non ha recepito l’ordine del giorno presentato da tutti i partiti dell’opposizione che chiedeva una maggior sicurezza per i nostri soldati. In secondo luogo per marcare le distanze da una politica estera in piena involuzione».
Cosa è cambiato rispetto al voto della Camera, quando votaste sì al decreto?
«Sono le condizioni sul terreno afghano a essere mutate. Una parte dei talebani si sta muovendo verso Nord. E i nostri soldati rischiano di essere coinvolti. Conseguentemente devono essere messi nelle condizioni di poter esercitare una “difesa attiva”. Inoltre il Dipartimento di Stato ci chiede di superare la rigidità e l’immobilismo dei cosiddetti “caveat” ma il governo fa orecchie da mercante».
Come reagirà il governo qualora il pressing statunitense dovesse aumentare?
«Noi ci muoviamo in totale controtendenza rispetto alla Nato. Addirittura stiamo mantenendo le nostre truppe a un livello di armamento inferiore rispetto a quelle che stanno in Libano. È evidente che la nostra credibilità internazionale sta scendendo sotto lo zero».
Alla luce della divisione materializzatasi in aula, la Casa delle libertà esiste ancora?
«Forza Italia, An, la Lega non potevano dare la loro copertura a una politica estera inaccettabile. Ci dispiace che Pier Ferdinando Casini abbia commesso un grave errore votando con il centrosinistra. Ma va anche detto che un punto fermo andava marcato perché altrimenti, inseguendo il presidente dell’Udc, ci saremmo venuti a trovare in una posizione di subalternità nei confronti del governo Prodi. In ogni caso io mi auguro che sia possibile ricostruire uno schieramento unitario che coinvolga l’Udc a pieno titolo».
Lei non crede che l’Udc possa finire per cedere alle sirene governative?
«No, perché non esistono le condizioni per passare dall’altra parte. Il centrosinistra non ha affatto sciolto le righe. Ci sono realtà marginali che si differenziano su singoli contenuti, vista la innaturalità di una coalizione che va dai trotzkisti agli ex dc. Di volta in volta qualcuno si tura il naso e vota. In una situazione di questo tipo sarebbe suicida rompere il centrodestra».
Il voto sull’Afghanistan quindi rimarrà un episodio isolato?
«Mi auguro che sia così e che questo incidente venga superato».
Ha fatto bene Casini a salire al Quirinale in solitudine?
«Ha marcato il fatto che non si è omologato con la maggioranza e che non offrirà il suo sostegno al governo. Mi sembra un tentativo saggio di riequilibrare una linea, pericolosamente esposta sul terreno di un aiuto obiettivo concesso a Prodi».
L’Unione ha dimostrato di non possedere una maggioranza politica. Ritiene che siano state rispettate le condizioni di sopravvivenza poste dal capo dello Stato?
«Il governo è di almeno tre voti sotto la soglia dell’autosufficienza. Ragion per cui si pone un problema grande quanto una casa sulla base delle stesse indicazioni date da Napolitano nella precedente crisi».
Le trattative per la scelta dei candidati alle amministrative sarà, in qualche modo, influenzata dal voto di ieri?
«Ci sono molte situazioni già chiuse, altre ancora aperte. Noi lavoriamo per chiuderle tutte. Non ci sono dissensi politici ma semplicemente discussioni sulle candidature. Quel che è certo è che l’elettorato ci chiede unità.
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