Riecco Leoluca Orlando lo smemorato di Palermo: oggi incensa Mattarella ma lo ha tradito tre volte

Due pagine sul "Giornale di Sicilia" per celebrare l'elezione al Colle. E fa spendere al Comune altri 20mila euro

Riecco Leoluca Orlando lo smemorato di Palermo: oggi incensa Mattarella ma lo ha tradito tre volte

Il patto del Nazareno, con l'elezione di Mattarella, è morto. Ma grazie all'elezione di Mattarella Leoluca Orlando, novello Lazzaro, è risorto.

Confinato nel ruolo di sinnacu (sindaco, ndr ) di Palermo che nel 2012 ha voluto riconquistare a forza essendo rimasto a mani vuote (il perché mal si comprende, visto lo stato in cui versa la città), l'Orlando non più furioso ma quasi ecumenico - potenza della sobrietà trasmessa dal neocapo dello Stato - è magicamente ricomparso nelle scorse settimane in talk show e interviste sui giornali, per tessere le lodi del suo maestro ora inquilino del Colle, regista di quella Primavera di Palermo della seconda metà degli anni '80 di cui Orlando, all'epoca enfant prodige della Dc, fu il sindaco, quando ancora i sindaci si eleggevano per accordi tra i partiti.

Non sta nella pelle, l'Orlando redivivo tornato alla ribalta nazionale grazie a Mattarella presidente. Racconta qua e là l'incipit di 35 anni fa, quel giorno, il 6 gennaio 1980, che cambiò le vite di tutti con l'uccisione di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione che voleva cambiare la Sicilia: la vita di Sergio, che entrò in politica dopo quella tragedia e che ora è capo dello Stato; quella di Pietro Grasso, giovane sostituto procuratore di turno quella domenica dell'Epifania, che dopo aver scalato i vertici della magistratura ora è presidente del Senato; e pure quella dell'allora giovane Leoluca, consulente giuridico di Piersanti, che si ritrovò candidato al consiglio comunale.

È entusiasta, Orlando. Sembra tornato giovane, anche perché si ritrova a discutere, oggi, con gli interlocutori di oltre 30 anni fa, come padre Bartolomeo Sorge, altro gesuita protagonista di quella stagione palermitana, anche lui super ospite dei festeggiamenti tv per Mattarella presidente. E l'Orlando entusiasta fa le cose in grande: una pagina pubblicitaria del Giornale di Sicilia , pubblicata per due giorni consecutivi, per festeggiare il concittadino Mattarella al Colle. Con logo del Comune. Che dunque paga, circa 20mila euro. Le casse comunali, e soprattutto i palermitani senza servizi, ringraziano.

Eppure. Eppure quante cose mancano nei peana dell'Orlando di oggi, pronunciati con tono garbato e suadente, per mettere la polvere delle polemiche sotto il tappeto. Quante omissioni in quelle lodi sperticate del «professore» asceso al soglio quirinalizio. Orlando elogia il giurista e l'uomo sobrio ed equilibrato. Ma, per esempio, dimentica di dire che lo tradì. Vero, Orlando è abbastanza avvezzo a mollare gli amici, vedi le «carte nei cassetti» che tanto addolorarono Giovanni Falcone, o la rottura del rapporto con un altro dei suoi maestri, il gesuita padre Ennio Pintacuda. Ma pure Mattarella? Sì, pure Sergio Mattarella, l'amato mentore che nel 1980 lo lanciò come candidato al Consiglio comunale di Palermo e che poi lo volle sindaco nell'85 e ri-sindaco nel 1987, sostenendolo nella prima giunta anomala, un pentacolore con Sinistra e Dc a braccetto. Eccolo, l'Orlando traditore di Mattarella. Era il 2011, un altro momento importante del cursus honorum del neocapo dello Stato, l'elezione a giudice costituzionale. Mattarella era in bilico. E, per la cronaca, alla fine ce la fece alla quarta votazione, come adesso per il Quirinale. Ce la fece, sì. Ma per un solo voto. Voto che però non arrivò da Idv, partito di cui, prima di rompere anche con Di Pietro, Orlando era portavoce nazionale. I dipietristi, Orlando in testa, decisero di non votare alla quarta votazione. Di fatto, scelsero di non sostenere Mattarella, misero a rischio la sua elezione alla Consulta. E lo spiegarono col sorriso stampato in volto, in una conferenza stampa, ancora rintracciabile sul sito di Radio Radicale . Scelta «etico costituzionale» la definì Orlando. Questione di «metodo»: «Nulla in riferimento alla persona del professore Mattarella – si affannò a ripetere più volte l'allora portavoce Idv, ben comprendendo che il “no” a Mattarella alla Consulta detto da lui era un po' da Giuda – vi direi con molta franchezza che se ci fossero elementi personali starei a disagio ad assumere questa posizione per la stima che ho per il professore Mattarella da moltissimi anni e per l'apprezzamento che ho per questa persona». E quindi? Quindi no, niente voto: «Il pensiero che una scelta possa essere in qualche modo letta come una sorta di prova generale di alleanze o non alleanze è la negazione di un organo di garanzia». Corollario: «Sono convinto che Mattarella sarà il primo a condividere la nostra posizione».

Cosa abbia pensato Mattarella del siluramento da parte di Orlando & Co. non è dato sapere. Del resto, quello sulla Consulta, non è stato certo il primo strappo tra lui e il suo ex pupillo. Qualche scricchiolio c'era già stato quando Orlando, scalpitando, abbandonò la Dc per fondare la Rete. E distinguo tra loro c'erano stati pure in uno dei momenti d'oro dell'Orlando inquisitore di tutto e tutti: quello dello scontro con Giovanni Falcone. Erano amici, Leoluca e Giovanni. Tanto amici che Falcone scelse proprio lui, nel 1986, per celebrare in segreto il matrimonio con la sua Francesca, Francesca Morvillo, collega magistrato, compagna di vita e di morte visto che con lui saltò in aria nella strage di Capaci. Poi ci fu il caso Pellegriti, il «pentito» che accusò il ras della Dc siciliana Salvo Lima di essere il mandante dell'omicidio di Piersanti Mattarella, indicando due killer che però non potevano essere in via Libertà, quel 6 gennaio del 1980. E infatti Falcone lo incriminò per calunnia. Orlando non gliela perdonò. Nacque così il ritornello delle «carte nascoste nei cassetti» della procura di Palermo che Orlando ripeteva in tv e nei comizi e che trascinò Falcone persino davanti al Csm. Sergio Mattarella, all'epoca ministro della Pubblica istruzione nonché capocorrente della sinistra Dc cui Orlando ancora apparteneva, solidarizzò coi magistrati palermitani. E non firmò una lettera di familiari delle vittime di mafia solidali col sindaco. Un silenzio assordante, quello del ministro, notato allora più di mille dichiarazioni. E infatti Mattarella per smorzare tagliò corto e fece una dichiarazione in difesa dell'ex pupillo.

Orlando del resto è fatto così. Almeno formalmente con Mattarella i rapporti non si sono mai rotti. Ma sono tanti gli amici che Leoluca, anzi Luca come lo chiamano i più stretti, ha mollato lungo la strada. Come Falcone, che dopo gli attacchi subiti da magistrato preconizzò: «Orlando ormai ha bisogno della temperatura sempre più alta. Sarà costretto a spararla ogni giorno più grossa. Per ottenere questo risultato lui e i suoi amici sono disposti a tutto, anche a passare sui cadaveri dei loro genitori. Mi fa paura». O come padre Ennio Pintacuda, il gesuita ideologo della Primavera di Palermo, suo padre politico forse più dello stesso Mattarella, l'inventore de «il sospetto è l'anticamera della verità». Avvenne nel 1994, subito dopo le Politiche che a marzo consegnarono l'Italia a Berlusconi. Padre Pintacuda, analizzando la sconfitta, attaccò duramente il suo pupillo, che pochi mesi prima, a novembre del '93, era stato eletto sindaco con un plebiscito, il 73%. Parlò di «visione vetero comunista dell'antimafia». Dichiarò: «C'è modo e modo di lottare contro la mafia. E ce n'è uno più rassicurante di quello adottato dalla giunta di Palermo». Fu rottura, definitiva.

L'Orlando implacabile che non perdona (per anni da sindaco si oppose all'intitolazione di una strada a Leonardo Sciascia, «reo» di aver scritto il famoso articolo sui «professionisti dell'antimafia») non fece marcia indietro su Pintacuda nemmeno di fronte alla morte. Infatti disertò i suoi funerali, nel 2005, spiegando: «Resterà sempre vivo in me il ricordo di un periodo passato di impegno comune che da tempo, però, si era interrotto».

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