Politica

Rientrati a Ciampino i feriti: «Il vero obbiettivo eravamo noi»

Un C-130 è atterrato all’aeroporto romano con i 19 nostri connazionali: sei sono stati ricoverati al Celio

Andrea Acquarone

La paura non è finita nemmeno quando all’alba, su un aereo C130 dell'Aeronautica militare, sono rientrati, a Ciampino: lo dicevano gli sguardi smarriti dei 19 turisti italiani feriti a Sharm El Sheikh. Sette di loro sono ora ricoverati all'ospedale militare del Celio, ma nessuno in gravi condizioni.
Il velivolo era decollato sabato pomeriggio da Pisa con a bordo un team di medici e infermieri dell'ospedale militare. Gli italiani feriti sono stati medicati ancora e quindi trasportati con tre ambulanze dell'Esercito che li attendevano sulla pista dell'aeroporto. Tra loro Maria Sateriale che con la famiglia, e quella di suo fratello, alloggiava al Ghalaza Gardens, uno dei due hotel distrutti dai kamikaze. Nella loro camera si è conficcatata nell’anta dell’armadio una scheggia dell'autobomba. Loro sono rimasti praticamente illesi, accanto ai letti inveci pezzi di cadaveri, quelli di chi era troppo vicino all’autobomba. «Saremmo dovuti ripartire tra due settimane», spiega Maria Sateriale. È sdraiata su una lettiga, qualche garza a coprirle le abrasioni varie. «L’altra notte, al momento dell'esplosione, eravamo rientrati in camera da 10 minuti. Ho sentito uno scoppio violento, proprio davanti a noi. Poi tanto fumo, buio, vetri rotti dovunque. La porta era bloccata: con mio marito e le nostre due figlie siamo saltati dal balcone. Per fortuna eravamo solo al piano ammezzato. No - dice - all'inizio non ho pensato a un attentato. Non poteva essere un attentato. Quella era Sharm el Sheikh, il paradiso dei turisti, il posto più tranquillo del mondo! Doveva essere un incidente».
Anche Angela Morroni Lavacca, di Lodi, era «convinta che fosse un’esplosione provocata da una fuga di gas». Racconta: «Per prima cosa ci siamo chiamati ed è stato un sollievo enorme, in mezzo alle macerie, nel buio, rendersi conto che eravamo tutti vivi». «Quello che mi terrorizza è il pensiero di dover convivere per tutta la vita con tutto l’orrore che ho visto», chiosa invece una giovane mamma romana. Intanto ieri sono stati dieci gli aerei charter atterrati a Malpensa per riportare a casa i turisti italiani. E sono stati stati duemila circa i nostri connazionali rientrati dal Mar Rosso.
«Ho capito che la vita è davvero attaccata a un filo», commenta un giovane studente arrivato nel pomeriggio. «Sono vivo per una casualità. Nei giorni precedenti ero stato infatti proprio nei due luoghi colpiti: la vecchia Sharm e Naama Bay». Venerdì sera si trovava in albergo, febbricitante. «Da lì ha potuto solo udire un botto terrificante». Poi, «due giorni vissuti in un clima surreale». Quasi claustrofobica la sensazione di un altro vacanziere appena rientrato. «Gli ultimi due giorni siamo rimasti chiusi nel villaggio, senza più mettere piede fuori». Accanto, sguardo vitreo e occhiaie che bucano l’abbronzatura, una giovane donna milanese. Si chiama Antonella: «Ho visto l'esplosione, fortissima. Poi persone che cadevano. Le vittime designate eravamo noi, noi italiani.

A Sharm lo dicono tutti».

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