Gian Battista Bozzo
da Roma
Rottura tra i tassisti e il governo. Il confronto tra i sindacati della categoria e il ministero dello Sviluppo economico sulla parziale liberalizzazione delle licenze si è interrotto ieri in tarda serata dopo sette ore di inutile mediazione: tutti i rappresentanti sindacali delle diverse organizzazioni hanno abbandonato lincontro con i tecnici del dicastero guidato da Pierluigi Bersani. Il motivo è linsistenza del governo sulla doppia targa, vale a dire la possibilità che un singolo tassista possieda due licenze, che il ministro aveva proposto «ma solo in via sperimentale». Un principio che, secondo gli autisti, è troppo simile al cumulo, che è la causa delle proteste dei giorni scorsi. «Ora la nostra lotta si sposterà sulle piazze», ha annunciato Loreno Bittarelli, leader dellUri. Detto, fatto. Già in serata la notizia della rottura imminente delle trattative è arrivata alle auto bianche. Prima una settantina di taxi si sono concentrati su via Veneto a Roma, in più file, davanti al ministero dello Sviluppo economico, poi - quando le auto bianche erano diventate trecento - è stata chiusa al traffico piazza Venezia. Inoltre è stato sospeso il servizio a Fiumicino e Termini. A questo punto oggi si attendono nuove manifestazioni anche nel resto dItalia, anche perché il ministero ha «preso atto» della rottura e non sembra voler cedere.
Ma la manovra sta impegnando il governo anche sul fronte dellIva sugli immobili. Lesecutivo presenterà lunedì le modifiche alla tassazione. Lo farà con un emendamento al decreto Bersani, davanti alla commissione Bilancio del Senato. Le proteste delle imprese interessate e del centrodestra hanno avuto effetto: dovrebbe essere eliminata la retroattività, spiega il presidente della commissione Enrico Morando (Ds), ma anche introdotta la possibilità per le imprese di scegliere se restare soggette allIva (non più detraibile) oppure passare allimposta di registro. La modifica al pasticcio - di cui Vincenzo Visco si è assunto la «responsabilità politica» - è confermata anche dal ministro dellEconomia Tommaso Padoa-Schioppa, nel corso dellaudizione sul Dpef alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato. Insomma, sembra davvero cosa fatta, nonostante gli inviti della Cgil al governo perché non ceda alla «lobby del mattone». A Palazzo Chigi, raccontano gli esperti di Nomisma, è giunta una lettera di grave preoccupazione da parte di grandi gruppi di investitori internazionali nel settore edilizio per un aggravio fiscale valutato in 30 miliardi di euro. Il governo tende però a minimizzare la brutta figura fatta allinterno e allestero. E conferma lobiettivo prioritario della lotta allevasione fiscale, anche «a costo di disturbare - dice Padoa-Schioppa - equilibri economici» che si basano sullevasione e lelusione.
Sempre sul fronte fiscale, Visco ha annunciato che il catasto sarà riformato, «ma non cè alcuna ipotesi di incremento generalizzato degli estimi; semmai, saranno affrontati casi singoli e specifici». Infine, ha detto di non ritenere che lIrap venga dichiarata illegittima dalla Corte di giustizia europea. Parlando del Dpef alle commissioni Bilancio riunite, Padoa-Schioppa affronta la questione dei tagli nei grandi settori: previdenza, sanità, pubblica amministrazione, enti locali. «Dovremmmo intervenire anche se, per ipotesi, i nostri conti fossero in pareggio - spiega - ma non ci sarà alcun taglio senza concertazione». Ad esempio, ci saranno tagli alla Sanità, «ma senza intaccare i livelli di assistenza». Le misure specifiche, delle quali non cè traccia nel Dpef, verranno esaminate tecnicamente durante lestate e poi inserite nella legge finanziaria 2007. Il ministro confessa poi di aver temuto che lItalia fosse considerata «inadempiente» dallUe per non aver ridotto dello 0,8% il deficit 2006: «Per fortuna - sostiene - a Bruxelles il Dpef è risultato convincente».
Padoa-Schioppa afferma che lItalia potrebbe crescere al ritmo del 2%, con la collaborazione delle parti sociali. «La crescita ha a che fare con la politica economica, ma anche con il sistema delle imprese e la loro capacità produttiva. La crescita la fanno le parti sociali, e non i governi, che al massimo possono rallentarla».
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