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La riforma del Tfr non passa l’esame del governo

Berlusconi: «Prima mettiamo a fuoco alcuni punti, poi l’approveremo»

La riforma del Tfr non passa l’esame del governo

Antonio Signorini

da Roma

Tutto rinviato. Per il lancio della previdenza complementare attraverso le quote del Trattamento di fine rapporto bisognerà aspettare ancora un po’. L’iter del disegno di legge che contiene la riforma del Tfr è stato bloccato ieri pomeriggio proprio mentre era in vista il traguardo, cioè l’approvazione definitiva da parte del consiglio dei ministri.
A interrompere sul rush finale il lancio dei fondi pensione non è stato quello che fino a ieri appariva come l’unico ostacolo, cioè le obiezioni dei sindacati spuntate negli ultmi giorni della dura trattativa. Lo stop, probabilmente temporaneo, alla riforma è stato causato da un voto del governo con il quale è stato respinto il parere sul decreto formulato dal Parlamento ed è stato rinviato il provvedimento alle Camere. Una decisione presa con il voto contrario dei ministri della Lega Nord e, in particolare, di Roberto Maroni che l’ha definita «ingiustificata, dannosa e controproducente». Anche se poi ha precisato: «Nulla è compromesso». Da un punto di vista tecnico, infatti, il rinvio in Parlamento fa slittare i termini per l’approvazione della delega di trenta giorni. Poi ci sono le garanzie politiche, come quella arrivata dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: «Ci sono alcuni punti che bisogna mettere a fuoco. Sono assolutamente convinto che, una volta chiarita la situazione su questi punti, la riforma tornerà sul tavolo del governo e verrà approvata».
Se non sarà trovata una soluzione entro il termine dei trenta giorni, la Lega Nord ha già annunciato battaglia: «Ci saranno problemi rilevanti, sul piano politico», ha avvertito Maroni. I timori del ministro del Welfare sono rivolti alle pressioni di chi non vuole approvare la delega; «non il mondo del sindacato e delle imprese - ha precisato - ma ambienti economici e finanziari». Pressioni che potrebbero anche mettere a rischio il lancio della previdenza complementare. «Mi auguro che il governo sappia resistere», ha concluso. Sulla stessa lunghezza d’onda i sindacati. Nei giorni scorsi erano state soprattutto le organizzazioni dei lavoratori a sollevare obiezioni sul parere del Parlamento, in particolare su questioni come il rinvio di 18-24 mesi dell’applicazione del principio di silenzio-assenso (se il lavoratore non esprime una preferenza le sue quote di Tfr vanno direttamente nel fondo) a favore delle piccole imprese e sulla portabilità del contributo del datore anche a favore di polizze individuali.
Dettagli rispetto al rischio di vedere naufragare la riforma che attribuisce una posizione di rilevo ai fondi negoziali, cioè quelli gestiti dai datori e dagli stessi sindacati. Che hanno quindi parlato esplicitamente di un «colpo di mano, sollecitato non certo indirettamente dalle lobby delle assicurazioni e delle banche» (Morena Piccinini della Cgil). Banchieri e assicuratori, sostengono i sindacati, si oppongono ai fondi negoziali considerandola una «contribuzione obbligatoria», mentre sono «un atto di solidarietà contrattuale» (il numero due della Uil Adriano Musi).
Le compagnie e gli istituti di credito hanno replicato respingendo le accuse. «La nostra posizione è sempre stata trasparente», ha rivendicato l’Ania (l’associazione che riunisce le assicurazioni), senza peraltro smorzare le contestazioni alla riforma e in particolare alla portabilità del contributo che avrebbe di fatto consegnato «una formidabile rendita di posizione ai fondi chiusi che, svincolati da ogni pressione concorrenziale, sarebbero diventati verosimilmente, senza merito, nel tempo protagonisti della finanza italiana». L’Abi, l’associazione delle banche, ha bollato le contestazioni della Cgil come «assolutamente infondate» e ha ricordato di aver firmato con il governo un importante accordo sullo smobilizzo del Tfr maturando, «un cardine» dell’intesa. Cauta Confindustria che, con il presidente Luca Cordero di Montezemolo, ha preso atto del rinvio alle Camere e ha ribadito la sua posizione. Così come i sindacati, viale dell’Astronomia, è per la «centralità della contrattazione collettiva» e quindi dei fondi pensione negoziali rispetto a quelli offerti dagli altri soggetti privati come banche e assicurazioni.

Per il resto, Confindustria ha ribadito l’importanza delle compensazioni per le imprese che rinunciano al Tfr come fonte di autofinanziamento e si è schierata a favore «della moratoria di tre anni nell’applicazione del silenzio assenso» per quelle imprese che oggi non hanno i requisiti per l’accesso al fondi di garanzia».

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