Una riforma per tutelare i diritti degli imputati

Caro Granzotto, tra molti amici: del tennis, del golf, del bar e del mercato (ha già capito che sono in pensione), corrono insistentemente le seguenti domande, alle quali piacerebbe avere una sua pregiata risposta. 1: Perché coloro che abbiamo eletti (in sì gran numero), nonostante il responso del popolo sovrano (referendum) ed ora anche quello dei massimi magistrati (Corte Costituzionale) non è capace di emanare una legge che renda anche i magistrati responsabili, cioè davvero uguali a tutti gli altri cittadini? 2: Perché i magistrati sono più uguali degli altri? 3: Cosa si aspetta a ripristinare il testo originale dell’art. 68 della Costituzione che andava ben oltre, e per tutti gli eletti, il bocciato Lodo Alfano? Un gran numero di cittadini, di serie Z (proprio «zeta») rispetto ai magistrati, fin d’ora La ringrazia per la probante risposta che vorrà dare.

PS A quando la prossima crociera, magari al Nord per ammirare il sole a mezzanotte?

Qualcosa non ha funzionato nella comunicazione, eppure efficiente, del governo rispetto alla riforma dell’ordine giudiziario. Vede, carissimo Tognetti, non si tratta di adottare provvedimenti che in qualche modo risultino un castigo per i magistrati, non si tratta di prendersi la rivincita e meno che mai di minare la saldezza della Magistratura. Ciò che si appresta a varare Silvio Berlusconi è una riforma che viene a sanare uno stato di fatto antidemocratico e tremendamente lesivo dei diritti dei cittadini. E cioè l’enorme sproporzione fra i diritti della difesa e quelli dell’accusa. Diciamo pure questo: la difesa, oggi, non ha diritti e dunque non è in grado di assicurare all’imputato una piena tutela. Limitiamoci alla visione degli atti processuali e facciamo un esempio: il fascicolo o faldone 9529/95 relativo al processo Sme. La difesa ha cercato in tutti i modi di conoscerne il contenuto. Si è anche rivolta al Consiglio superiore della magistratura e successivamente al ministro della Giustizia. Niente. Non ne ha cavato un ragno dal buco. Il pubblico ministero, mi pare fosse la dottoressa Boccassini, l’aveva «secretato» e «secretato» è tutt’ora. Ora io non dico di giungere a quella parità totale, assoluta, fra procuratori e avvocati che vige nel diritto anglosassone. Dove se l’accusa porta in aula una prova senza prima averla sottoposta alla difesa, quella prova non ha alcun valore. Conta zero. Però qualcosa occorre fare perché siano rispettati i diritti del cittadino e la prima in assoluto è la separazione delle carriere dei magistrati. Non serve conoscere il diritto per rendersi conto che l’inquirente che divide carriera, uffici, pausa caffè, ufficiali giudiziari e personale con il collega giudicante, che parla, si consulta con lui in assenza dell’avvocato di parte, che oggi è pm e domani giudice senza dover nemmeno cambiare edificio, significa soggiogare la difesa, privarla degli strumenti e delle cognizioni utili se non proprio necessari al patrocinio legale. Questo è il punto, caro Tognetti, questa la finalità della riforma: cominciare a tutelare i diritti degli imputati i quali, per norma costituzionale, sono da considerarsi innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. È un primo passo, importante; il resto verrà da sé. Capisco che per un magistrato sia dilettevole passare in un batter d’occhio dalla pedana dell’accusa al tavolo sovrastato dalla bilancia della Giustizia. Ma siccome quel diletto si trasforma in un danno per il cittadino, è giusto che ci rinunci. Non è poi tutto questo gran danno e inoltre la riforma non scalfisce nemmeno l’indipendenza della Magistratura. Che resta salda, ma con una decisa distinzione, una netta separazione fra inquirenti e giudicanti.

Come in tutti i Paesi civili, d’altronde.
Paolo Granzotto

PS Sono pronto a tornare fra voi, caro Tognetti. Ma di crociere dirette verso il sole di mezzanotte mi pare che per ora non se ne parli. Stia in campana, però.

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