Inutile negarlo. Pensi all’unità d’Italia e pensi (anche) a mamma Rai. Pensi a mamma Rai e pensi (soprattutto) a Pippo Baudo. Ovvero al volto dell’azienda pubblica che - a modo suo, e per mezzo secolo - ha aiutato il nostro Paese a sentirsi un Paese unito. Inevitabile dunque che stasera, vigilia della festa nazionale, e in inedita accoppiata con Bruno Vespa, a condurre il singolarissimo varietà Centocinquanta che celebra i nostri primi 150 anni, ci fosse proprio lui. Il Pippo Nazionale. La cui carriera simboleggia essa stessa - a suo specialissimo modo - almeno un terzo di questo nostro cammino comune.
Allora Baudo? Come ci si sente, in occasioni simili? Quasi dei monumenti?
«Per carità! Sai che noia, se facessimo un monumento! No, no: noi dobbiamo fare televisione, sia pure di livello istituzionale. Per questo abbiamo studiato una prima puntata evento che alternerà momenti solenni ad un varietà di prim’ordine».
Ripercorrere la storia di Pippo Baudo significa ripercorrere la storia della Rai. E quindi, in qualche modo, anche parte di quella del Paese.
«Devo tutto a Rin-Tin-Tin. Si: al famoso cane dei telefilm americani. Un giorno del 1966, per motivi tecnici, saltò una puntata dell’attesissima serie. Allora chiesero a me, che da sconosciuto avevo proposto l’idea, peraltro scartata, di un nuovo show di canzoni, Settevoci, di allestirlo in tutta fretta. Un successo enorme, immediato».
E da allora quanti personaggi famosi? Quanti incontri eccitanti?
«Il primo memorabile fu quello con Louis Armstrong. Credo d’essere stato l’unico al mondo a strappare la cornetta di bocca al mitico "Satchmo". Sul palco di Sanremo si dilungava oltre il consentito, com’era d’obbligo nelle jam-session di jazz, e i dirigenti Rai m’intimarono: "Interrompilo!. L’incontro più malinconico, invece, fu quello con Luigi Tenco. Musicista finissimo, anima tormentata. Il primo Sanremo che presentai fu il successivo a quello del suo suicidio. "Deve far dimenticare quella brutta storia - mi dissero alla Rai».
E quando capì di essersela assicurata, invece, la carriera?
«Quando Mina m’invitò a Sabato sera, per cantare e ballare in quartetto con gli dei dell’Olimpo Rai: Mike Bongiorno, Corrado, Enzo Tortora. Ecco - mi dissi - forse stavolta ce l'ho fatta davvero».
Baudo è celebre anche come talent-scout. Ha scoperto lui molti dei volti che poi sono diventati, a modo loro, dei fenomeni di costume italiano.
«A parte le soubrette, come la Goggi o la Parisi, un po’ il mio fiore all'occhiello sono i comici, come il Trio Solenghi-Marchesini-Lopez. Beppe Grillo lo scoprii alla Bullona di corso Sempione, a Milano. L’unico spettatore ero io. E lui, stoico e geniale, quella sera recitò solo per me. Alla fine gli organizzai un provino alla Rai (che, manco a dirlo, fu folgorante) assieme ad un altro giovane al quale avevo già fatto un provino: Tullio Solenghi».
Il personaggio che l'ha delusa di più?
«Naomi Campbell. Arrivò a Domenica In con un’ora e tre quarti di ritardo, non si scusò con nessuno, durante l’intervista pronunciò solo vaghi e svogliati monosillabi, risultò a tutti di un’antipatia rara».
L’anno cruciale di questi cinquanta?
«Il 1986. M’ero appena sposato con Katia Ricciarelli, Domenica In era diventato il rotocalco più popolare della tv, mi affidarono anche Fantastico. In una puntata Grillo dette dei ladri ai socialisti di Bettino Craxi. Risultato: il presidente socialista della Rai, Manca, dette a me del nazionalpopolare. E io me ne andai a Mediaset, sbattendo la porta. Con le conseguenze che tutti ricordano».
Fra i meriti riconosciuti di mamma Rai c'è quello di aver contribuito ad unificare il Paese. Anche la tv di Pippo Baudo?
«Beh: anche quella qualche piccolo merito ce l’ha. Dobbiamo portare il teatro Sistina fino a Catanzaro, mi disse un giorno il direttore Sergio Pugliese. E trasmissioni come Canzonissima non hanno forse rappresentato per anni l'unico svago per milioni d'italiani? Penso ala promozione culturale di Domenica In, in cui ospitavamo scrittori e poeti come Evtuschenko o Moravia».
E in questa Rai c'è ancora posto per Pippo Baudo?
«Bisognerebbe chiederlo al direttore di Raiuno, Mazza.
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