Riparte la caccia grossa dei pm a Berlusconi

Le toghe sono sicure: la Consulta boccerà il legittimo impedimento. Così scatterà il via libera alla persecuzione ncontro il premier. Incombono i processi Mediaset, Mediatrade eMills. Per tenere in vita quest'ultimo è stato persino "posticipato" il reato

Riparte la caccia grossa dei pm a Berlusconi

Il vicepresidente del Csm Michele Vietti, il suo invento­re, nel consegnare il brevetto al parlamento era stato chia­ro: «Il legittimo impedimento è un ponte tibetano». Una nor­ma sospesa sull’abisso di mil­le insidie. Previsione azzecca­ta. La legge, come molte altre in questi anni, è già stata mina­ta dai giudici che l’hanno spe­dita alla Corte costituzionale. I magistrati non hanno dubbi: sarà la Consulta, veterana in materia, a farla a pezzi, come già è accaduto nei mesi scorsi per il Lodo Alfano e prima an­cora per il Lodo Schifani e pri­ma ancora per tutti i lodi possi­bili. Insomma,l’autunno ci re­g­alerà il nuovo assalto delle to­ghe a Silvio Berlusconi.

Il safari giudiziario, comin­ciato con l’avviso di garanzia del novembre ’94 recapitato dal Pool al premier diretta­mente in edicola, va avanti. In­credibile: quell’atto è entrato nei libri di storia, ma la caccia continua nell’attualità.È la ter­za volta che Berlusconi prova a governare, per la semplice ra­gione che gli italiani hanno scelto lui, ed è la terza volta che i magistrati provano a di­sarcionarlo. Nel ’94,complice il voltafaccia della Lega, ci riu­scirono e il Paese imparò a convivere con l’ipocrisia dei governi tecnici, tecnici ma cor­retti a sinistra, come il caffè. Nel ’96 il Cavaliere fu sconfitto alle urne, ma pochi giorni pri­ma, curiosamente, esplodeva l’ affaire Ariosto, scoppiava lo scandalo dei giudici corrotti e balzava in prima pagina la fi­gura dell’avvocato Cesare Pre­viti. Quanti voti ha spostato quell’operazione giudiziaria? Non esistono risposte certe, ma il Berlusconi che nel 2001 riconquista Palazzo Chigi si ri­trova ad inciampare nei pro­cessi, negli avvisi di garanzia, nei duelli infiniti, come in un celebre racconto di Conrad, con i giudici. C’è il Lodo Mon­dadori, ci sono le spumeggian­ti e traballanti confessioni di Stefania Ariosto e c’è il proces­so Sme che, in mancanza di meglio e in un confuso e ar­rembante assemblaggio di ca­pitoli d’accusa, viene ribattez­zato Sme-Ariosto. Con tanto di trattino ad unificare quel minestrone.

Si fa di tutto, ma proprio di tutto, per arrivare alla condan­na del Cavaliere, ma si sa co­m’è andata a finire. Il Lodo per­de per strada il Cavaliere e il processo Sme alla fine, come predicato dagli avvocati per quasi dieci anni, frana sull’in­competenza dei giudici mila­nesi. Che pensano, modesta­mente, di essere al centro del mondo e di tutte le inchieste.

Ora siamo al punto di pri­ma. Berlusconi governa e le to­ghe lo stringono d’assedio. In­combe il processo Mills, in­combe il processo Mediaset, incombe- anche se è più indie­tro rispetto agli altri due - il processo Mediatrade. Inten­diamoci: rispetto a dieci anni fa il clima è più rarefatto; del resto Borrelli è in pensione, la Boccassini combatte la ’n­drangheta e Di Pietro, il pm che prima di interrogare Berlu­sconi l’ormai lontanissimo 13 dicembre ’94 gridava «io a quello lo sfascio», prova anco­ra a sfasciarlo ma direttamen­te in Parlamento. Il clima è cambiato, ma fino a un certo punto. L’obiettivo d’inizio mil­lennio è sempre lo stesso. Uno squadrone di toghe fa del suo meglio per fare giustizia: le in­chieste possono gorgogliare per anni, ma i dibattimenti, se serve, sono fulminei. In Parla­mento si litiga sul processo breve, che poi, fatti due calco­li, tanto breve non è perché per i tre gradi di giudizio si fis­sa un percorso di sei anni e mezzo. Sei anni e sei mesi, ul­teriormente dilatabili in un ventaglio di casi.Bene,l’oppo­sizione, compresa l’Udc, s’in­d­igna e i finiani si accodano al­l’indignazione delle sinistre. Ma intanto, in aula il processo a David Mills, la controfigura giudiziaria del Cavaliere, avanza con la falcata di un Bolt. La sentenza di primo gra­do arriva il 17 febbraio 2009, il 25 febbraio 2010 la Cassazio­ne emette il verdetto di terzo grado. Un anno secco da sen­tenza a sentenza, dal tribuna­le alla Suprema corte, passan­do per l’appello. C’è d stropic­ciarsi gli occhi. Funzionasse sempre così, la giustizia italia­na sarebbe un modello per tut­to il mondo, ma così va solo se si deve giudicare lui, l’eterno imputato, sotto attacco dal 1994.

Lo strabismo è perfetto. Si accorciano i tempi dibatti­mentali e si allungano quelli della prescrizione. Per ottene­re, sia pure col fiatone, la con­danna dell’imputato inglese, che suonerebbe come una condanna virtuale del pre­mier; s’interpreta la legge, sta­bilendo che la prescrizione non decorre dal pagamento della presunta tangente ma in sostanza da quando Mills ha cominciato a spendere quei soldi intestandosi alcune quo­te del Torrey Global Fund. Un gioco di prestigio che fallisce solo perché le sezioni unite della Cassazione sconfessano la linea ambrosiana e annulla­no la pena.

In aula, intanto, accade di tutto. Come in certe partite di calcio in cui sotto porta spinte e pugni aiutano il pallone nel­la sua corsa verso la rete. In au­la, il Cavaliere dovrebbe esse­re tutelato dal legittimo impe­dimento. Il famoso ponte tibe­tano. Ma il pm Fabio De Pa­squale prova a farlo saltare proponendo una sua lettura ad personam dell’agenda del premier: se il consiglio dei mi­nistri, come capita il 16 aprile scorso, si «occupa della diffu­sione del turismo sportivo tra­mite il golf e dei problemi lin­guistici dell’Alto Adige», allo­ra il premier può tranquilla­mente stare in udienza per­ché l’impedimento «non è as­soluto».

In area, ovvero nell’aula in cui si giudica il premier, tutto è possibile. Naturale che la maggioranza si arrangi come può e partorisca a sua volte norme, vedi quella transitoria sul processo breve, stiracchia­te, norme pensate evidente­mente per creare uno scudo al capo del governo e che finisco­no c­on il sollevare qualche per­plessità (la norma transitoria, valida per i reati commessi pri­ma del 2 maggio 2006, dunque anche per quelli contestati al premier, riduce a 2 anni il tem­po del dibattimento di primo grado). A la guerre comme a la guerre . E l’immunità alla fran­cese, con il presidente Chirac puntualmente processato ma a fine mandato, viene conside­rata da molti giuristi quasi una bestemmia.

È inutile coltivare illusioni. In autunno l’assedio ripartirà.

E occorrerà tendere le orec­chie, come al solito verso la lontana Palermo, dove il pen­tolone, sempre sul fuoco, dei presunti rapporti fra il Cavalie­re e pezzi di cosa nostra po­trebbe nuovamente essere scoperchiato.

Si riparte. E quel che non fa­ranno i giudici, toccherà alla Corte costituzionale, peraltro puntualmente imbeccata dal­le toghe. Alla fine, il ponte tibe­tano si schianterà nell’abisso.

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