Roma

Rischia il fallimento perché il Comune ritarda il trasloco del suo chiosco-bar

«È paradossale ma proprio io che ho combattuto l’usura da anni in qualità di presidente di Sos Impresa della Confesercenti provinciale di Roma rischio di finire nelle mani degli strozzini». C’è sconforto nel tono di voce di Paolo Pancino, proprietario di un chiosco-bar in via Mattia Battistini di fronte ai vecchi uffici del XIX municipio, ma anche tanta determinazione nel far valere i propri diritti. «In campagna elettorale tutti a dire che il lavoro è la prima priorità del nostro Paese e poi questi sono i risultati. Non voglio regali, ma perché non posso lavorare se ho tutte le carte in regola?».
La storia di Pancino è la solita brutta vicenda di ottusa burocratizzazione all’italiana. «Più di tre anni fa - spiega Pancino - e precisamente l’8 gennaio del 2004, ho presentato domanda di trasferimento del mio esercizio commerciale in piazza Santa Maria della Pietà. In pratica avevo deciso di seguire il municipio XIX e di spostare il mio chiosco di fronte ai nuovi uffici. Mi ero mosso con grande anticipo conoscendo come funzionano le cose in Italia». Uno zelo del tutto inutile, però. Il municipio infatti si sposta a Santa Maria della Pietà un anno e mezzo fa, il chiosco di Pancino invece resta «incastrato» nei meandri dell’amministrazione pubblica. «Lì è cominciato il mio calvario - continua Pancino -. Nonostante fosse stata accolta la mia domanda infatti non si riusciva a sapere di chi fosse il terreno su cui volevo costruire il chiosco. Il Comune mi indirizza alla Provincia, la Provincia all’Asl Roma E, l’Asl alle Ferrovie. E finalmente, dopo due anni, a febbraio 2006, Ferrovie mi mostra la planimetria della zona dove si vede chiaramente che l’area è di proprietà comunale».
Ma la storia non finisce qui. Il Campidoglio, infatti, gira la pratica al Servizio giardini di cui serve il parere obbligatorio. E qui un nuovo stop. «Si erano persi i documenti. Nuova ricerca tra i vari uffici e dopo ben nove mesi arriva il sospirato permesso per occupazione di suolo pubblico il 4 gennaio di quest’anno. Ho presentato domanda per la concessione edilizia del nuovo progetto ma, dopo altri due mesi ancora nulla. Quello che mi preoccupa è che senza concessione non posso ottenere l’allaccio alla fogna e all’acqua corrente. Chissà quanti mesi ancora dovrò aspettare per poter lavorare di nuovo. E si tratta sempre di atti dovuti per legge. In più ho finito i soldi visto che ormai non ho più clienti e le banche non mi fanno più credito. Mi restano solo gli usurai».
E qui arriviamo alla protesta di ieri con tanto di manichino impiccato appeso al chiosco. «Questa è la fine di chi crede nelle istituzioni», conclude Pancino. «Ma perché in Italia va avanti solo chi paga tangenti? Per questo ho attaccato il cartello in cui dico che cerco corruttori e politici. Forse è l’unico modo per ottenere qualcosa. Quello che mi fa rabbia è che nel ’91 proprio io non mi sono piegato a questo sistema e ho fatto arrestare i vertici della circoscrizione che mi avevano chiesto una “bustarella” da 20 milioni. E ora, disperato, mi tocca chiedere aiuto».
Un appello che ieri sera è stato raccolto da Walter Veltroni.

Il primo cittadino ha assicurato che domani un suo incaricato accompagnerà Pancino in municipio per risolvere la sua vicenda.

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