Pare che i maggiori consumatori della nuova tv siano adolescenti e teenager. Si spiegherebbe così la crescente quantità di serie in cui i protagonisti non sono ancora entrati nell'età adulta. Riverdale rientrerebbe dunque in tale categoria: giovani gli attori, universitario l'ambiente, quella provincia americana profonda in cui tutto si consuma all'interno dei campus e nei dintorni, tipici i tormenti amorosi, le amicizie contraddittorie e instabili, gli scontri con i grandi, le ambizioni spesso frustrate di chi vive lontano dall'adrenalina metropolitana.
Eppure Riverdale non è soltanto questo. È tanta roba in più, un indovinatissimo format tra i migliori dell'ultimo anno, tredici puntate ora su Netflix e una nuova stagione in arrivo. Come capitò per Stranger Things, anche Riverdale strizza l'occhio ai cinefili più consumati, a cominciare dai titoli dei singoli episodi che citano celebri film e i loro autori: da L'infernale Quinlan (Orson Welles) a Omicidio a luci rosse (Brian De Palma), da L'ultimo spettacolo (Peter Bogdanovich) a Faster Pussicat Kill Kill (Russ Meyer), da I ragazzi della 56ª strada (Francis Ford Coppola) a Il dolce domani (Atom Egoyan). Al di là della trama, è una sfida continua a cogliere riferimenti e rimandi.
La storia di Riverdale si dipana in maniera molto complessa e articolata per un sapiente mix fra i continui colpi di scena (la fa da padrone il Lynch del primo Twin peaks) e la noia studiata della commedia adolescenziale. Come spesso accade, la provincia è il luogo in cui si nascondono i più terribili segreti oltre la soglia dell'apparenza. Sta per iniziare un nuovo anno scolastico e Jason, fratello gemello dell'inquietante Cheryl, muore improvvisamente: sembra una tragica fatalità, invece si tratta di un omicidio. Ma chi può avere ucciso il ragazzo, e perché? Amici, compagni, genitori, insegnanti, tutti potenzialmente indiziati, mentre intorno la rete di rapporti si complica tra amori impossibili o mai nati, scontri e invidie. La verità stenta a venire a galla e il «giallo» si infittisce. Non si tratta però solo di un mystery. Affiora la passione dell'autore Roberto Aguirre-Sacasa per il cinema postmoderno, per quello stile che predilige il tempo sospeso e indefinito: se il gusto ricorda gli anni '80, i ragazzi sono tutti forniti di smartphone e tablet, unico chiaro indizio di ambientazione in un (quasi) presente.
Bravi davvero gli attori giovani, curiosa la parte di Luke
Perry, indimenticato eroe di Beverly Hills 90210, qui padre barbuto del tormentato Archie, apprendista musicista, personaggio positivo quando si schiera contro i bulli della scuola, eppure attraversato da ombre e malinconie.
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