La rivincita di Blair, un leader messo in disparte troppo presto

LondraSe fosse un animale Tony Blair sarebbe senza dubbio un gatto. Più Garfield che Silvestro, sornione, simpatico e diabolico, di quelli che cadono sempre in piedi, di quelli con sette vite. Due, in fondo, Blair le ha già sperimentate e adesso chissà che dopo queste elezioni non arrivi la sua terza occasione di rinascita. Dopo dieci anni al governo del Paese, tre anni fa era uscito dalla scena politica nazionale quasi sotto ricatto, ma si era consolato subito. Sulla sua scrivania, non più quella di Downing Street, erano arrivate immediatamente offerte per incarichi prestigiosi: inviato per il Medio Oriente, consulente e ospite d’eccezione negli eventi politici più disparati. E ha girato il mondo lui, mentre il suo successore Gordon Brown, colui che lo stesso Blair aveva voluto come Tesoriere, l’eterno secondo che per quel leader aveva covato rabbia sempre mista a rispetto, si dibatteva nella crisi più profonda che il Labour avesse mai attraversato nell’ultima decade.
L’ex primo ministro Blair se n’è rimasto in disparte a soffrire, ma anche a godersi un po’ lo spettacolo di un partito che rischiava di affondare senza la sua guida. Durante una delle campagne elettorali più dure della storia britannica, non ha praticamente detto una parola. I suoi commenti di sostegno a Brown, freddi come un gelato d’inverno, si possono contare sulle dita di una mano. Soltanto alla fine della kermesse è sceso in campo per dare un’indicazione alla gran massa di elettori indecisi. Scegliendo ancora una volta la via meno battuta, quella che nessuno si aspettava. Mentre gli uomini di Brown suggerivano di votare «con la testa e non con il cuore» per salvare il salvabile, Blair ha detto esattamente il contrario. «È semplice - ha spiegato al quotidiano Guardian - seguite il vostro istinto e votate per coloro in cui avete maggiore fiducia». «La loro politica è vecchia mascherata da nuova - ha dichiarato riferendosi ai liberaldemocratici grazie a cui Brown spera di rimanere primo ministro - ma se credete che le loro strategie siano buone votateli». Facile per l’ex leader laburista lasciar liberi gli elettori. Non sarà mai lui a perdere queste elezioni. Perché se è vero che Blair ha guidato il governo laburista per dieci dei suoi ultimi 13 anni, è anche vero che molte delle sue politiche più innovative - come il tentativo di far entrare il privato nei servizi pubblici, di ridefinire lo stato sociale, di avvicinarsi sempre più all’Europa sia sotto un punto di vista di strategie comuni sia sotto il profilo della moneta unica - sono state tutte ridimensionate dall’ultimo, cauto, governo Brown.
Con la vittoria dei tory di Cameron finisce dunque un’epoca, ma in fondo questa potrebbe trasformarsi per Blair nell’ennesima occasione di riscatto, nella sua terza rinascita.

Alla fine i conservatori hanno vinto facendo in parte propri alcuni dei cavalli di battaglia blairiani, non ultimo quello della difesa dei diritti dei gay. E Blair potrà sempre dare tutta la colpa a Brown e alle sue politiche poco coraggiose per una sconfitta che, chissà, con lui ancora sulla scena, avrebbe potuto essere un po’ meno rovinosa.

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