Rivincita La Juve sfila ai campioni un po’ di scudetto

di Tony Damascelli

Marchionne, Lapo Elkann, Andrea Agnelli, c’erano tutti, quasi tutti a parte John Elkann, ma non è che si sia sentita l’assenza dell’ingegnere. C’era soprattutto la Juventus. Roba strana, il football, una squadra smarrita, ondivaga che si trova dirimpetto ai campioni, quelli della manita, quelli della remontada eppure sembrava, anzi è sembrato, che le parti si fossero invertite. Ecco la remontada, la Juve che recupera almeno una identità di squadra normale, provinciale ma presente, reattiva, prudente perché cosciente dei propri limiti. Di contro un gruppo di narcisi, sicuro di fare a pezzi fisicamente e tecnicamente i bianconeri ormai definiti bianconeuri.
Ma il calcio, l’ho detto, non è una scienza, semmai è il contrario, è il gioco dell’imprevedibile, laddove Davide può battere Golia ma non è leggenda, non è favola. Quelli della Juventus, dico i dirigenti, dovrebbero mordersi le mani per il tempo e le occasioni perdute, perché questa squadra con alcuni innesti veri, sostanziosi, avrebbe avuto negli anni e in questa stagione, un rendimento ben diverso, al di là degli infortuni che sono stati pesanti. L’Inter abituata al technicolor euromondiale soffre il bianco e nero, aveva promesso di vincerle tutte prima della trasferta di Udine poi è andata come è andata, binario morto. Anche alla vigilia di questa partita l’ambiente nerazzurro aveva stilato la solita tabella di rimonta, vittoria a Torino, vittoria nel recupero contro la Fiorentina e via andare. Però il Milan ha strapazzato il Parma consolidando il primato in classifica mentre i campioni di tutto si sono guardati allo specchio e hanno esibito, il risultato non dice tutta la verità, una delle peggiori esibizioni.
Del resto già a Bari l’Inter era apparsa slegata, risorgendo nei minuti finali e cancellando l’avversario ultimo in classifica. Leonardo è un allenatore assolutamente normale, mancandogli la coppia centrale titolare, Samuel-Lucio, incontra le stesse difficoltà del suo predecessore spagnolo che non poteva nemmeno contare su Ranocchia ma sul reduce e sopravvissuto Materazzi, inseguito ieri sera da fischi e insulti come previsto dai copioni degli stadi italiani, tutta roba prevedibile dopo le infantili elucubrazioni del campione del mondo alla memoria. La prova della Juventus va messa in salotto ma non vorrei che la dirigenza bianconera si facesse prendere da entusiasmi vendicandosi con la «critica saccente», secondo affermazione di Marotta Giuseppe. Marchionne, in tribuna, dovrebbe avere capito che l’asset sportivo, quello calcistico, non è da buttare via, come è stato fatto in questi sei sciagurati anni del dopo calciopoli. Mi auguro che nessuno osi più dire «basta con calciopoli». Basta che cosa? Basta con la assoluta lealtà degli avversari e la propria sconcia vergogna? O viceversa? Basta con la resa? Basta con l’abbandono di una tradizione bianconera messa nel cestino da chi non ne conosce la storia se non grazie alla televisione.

Il gusto bianconero è doppio: vincere e forse togliere lo scudetto dalla maglia dell’Inter. Non quello di cartone, quello vero. O no? Il campionato è chiuso soltanto per i campioni del mondo e d’Europa. In Patria i giochi sono di altri. Senza intercettazioni.

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