Governo e Parlamento sono lì che combattono per la propria sopravvivenza. Nel frattempo il salottino buono, si fa per dire, dei poteri economici italiani sta ballando la rumba, senza che ci sia un dj che meni le danze. La politica è divisa proprio mentre i «poteri forti» si stanno muovendo per trovare un nuovo equilibrio. Mettiamo insieme qualche fatterello che riguarda Confindustria, Fiat, Eni, Finmeccanica, Rcs e le banche. Più che un frullato esce fuori uno scontro con pochi precedenti nell’establishment italiano. Andiamo per ordine. E partiamo da Fiat. La più importante industria italiana, una mattina si sveglia e dice: «sapete che c’è di nuovo? I contratti collettivi di lavoro e quel micidiale triangolo consociativo fatto di politica, sindacati e Confindustria, lo buttiamo a mare. Il contratto lo facciamo per i fatti nostri e alle nostre condizioni. E se non vi va bene, molliamo padroni, sindacati e l’Italia». Per la prima volta la Confindustria non è in linea con la Fiat, ma è piuttosto costretta a seguirla a ruota. Banalmente, dopo l’acquisto dell’americana Chrysler, Sergio Marchionne ha deciso, come direbbero i suoi amici americani, di «fottersene» del nostro establishment. Può giocare su più campi, è meno dipendente dalla politica italiana e in una certa misura anche dalle nostre banche. Che pure hanno salvato Fiat. La prima azienda del Paese sta dicendo bye bye alla penisola o, nella migliore delle ipotesi, ai nostri vecchi riti politico-sindacali. Una poltroncina, di quelle pesanti, nel salottino del nostro capitalismo è rimasta così vuota. Un altro vuoto si è creato nella più grande banca italiana. L’uscita di scena di Alessandro Profumo da numero uno di Unicredit, non è esattamente una bagatella. Il manager aveva fatto della lontananza dai giochi della finanza salottiera il suo karma. Ma anche i bimbi sanno che nelle scelte importanti della finanza milanese che giravano intorno a Mediobanca, Profumo faceva contare, oltre che pesare, i suoi voti. Ricapitoliamo: mentre la politica è là che cerca i suoi voti, la finanza si è persa per strada la Fiat di Marchionne e l’Unicredit di Profumo. In un’economia di mercato anglosassone la cosa potrebbe essere liquidata in poche righe, ma lo stesso trattamento non può essere riservato in un paese di relazioni come il nostro. La cartina di tornasole, come sempre avviene quando le tensioni si alzano, si chiama Corriere della Sera . Il quotidiano borghese per eccellenza è governato da 17 soci così sensibili agli umori dell’establishment finanziario del Paese per il semplice motivo che sono proprio loro che li determinano. Il patto che ha governato la pace di via Solferino e che si è realizzato con un’intesa tra i due grandi custodi del nostro capitalismo, Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli (rispettivamente numero uno delle Generali e di Intesa San Paolo) scricchiola: il nuovo ingresso in consiglio Rizzoli di un personaggio fuori dagli schemi, ricco e liberale, come Rotelli potrà catalizzare qualche malumore in più. Così come il duro scambio di battute (su una questione marginale, ma di principio, come quella del luogo di convocazione dei cda) tra Diego della Valle (socio influente Rcs) e Geronzi non fa che rendere ancora più variegate le posizioni in campo. Insomma mentre la politica è là distratta che pensa a quota 316, i piani alti del Corrierone ( quelli della proprietà) sono alla ricerca di un nuovo equilibrio e quelli bassi e nobili del giornalismo si mettono al centro dell’arena. Nel giro di pochi giorni il Corrierone coglie al volo l’occasione per anticipare con sapienza l’inchiesta romana su Finmeccanica e racconta con altrettanta perizia quei rapporti per definizione «greasy» tra l’Eni e i suoi molti partner internazionali. Il Corriere , in alcune sue fasi, ha un gran fiuto per anticipare le inchieste della magistratura. Manca solo l’Enel (e la traballante quotazione di Green Power potrebbe darne spunto) e il giornale della borghesia milanese avrebbe messo in discussione un terzo della capitalizzazione di Borsa e quel che resta delle vecchie partecipazioni statali e romane: in altri termini tutta la grande impresa italiana, se si escludono i soci del Corriere stesso.
Il governo combatte per la sua sopravvivenza, ma rischia, da sopravvissuto, di trovarsi un pezzo di Paese in meno perché è semplicemente emigrato, un pezzo di politica in meno perché banalmente le imprese si sono fatte le riforme per conto proprio, e un pezzo di politica industriale (energia e difesa) messa sotto inchiesta dai magistrati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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