Cronaca locale

Ospedali nel caos: un'ambulanza su due ferma in attesa delle barelle

Gli operatori del 118 costretti ad aspettare anche per giorni la restituzione delle barelle a causa della mancanza di posti letto: così decine di ambulanze restano bloccate nei pronto soccorso

Ospedali nel caos: un'ambulanza su due ferma in attesa delle barelle

I disagi si ripetono puntualmente, ogni inverno. Con il picco stagionale dell’influenza i pronto soccorso degli ospedali capitolini vengono presi d’assalto. Così succede che decine di ambulanze rimangano prigioniere all’interno del perimetro dei nosocomi perché le barelle vengono trasformate in posti letto per i pazienti.

Prima della restituzione delle lettighe possono passare anche intere giornate, come testimoniano gli addetti ai lavori. Succede al Policlinico Umberto I, al Casilino, al Sant’Andrea, al Sandro Pertini, al San Giovanni e al San Camillo. Ma anche negli altri ospedali del Lazio. Ad inizio novembre a rimanere bloccate in una sola giornata sono state ben 46 vetture in tutta Roma. "Due settimane fa mi è capitato di dover restare accanto all’ambulanza ferma al Pertini per l’intera durata del turno, che è di 12 ore - ci racconta uno degli operatori - ho sostituito il collega che c’era prima di me e alla fine del mio turno ne è arrivato un altro, praticamente il mezzo è stato lì per oltre 24 ore".

Siamo al Policlinico Umberto I. A mezzogiorno i pazienti in coda al pronto soccorso sono oltre 130, decine in attesa di essere ricoverati. Le ambulanze parcheggiano una dietro l’altra e il personale aspetta pazientemente di poter tornare in possesso della lettiga per tornare in servizio. Ma l’attesa può durare anche giorni. “Non ci sono barelle e posti letto, così bloccano i mezzi senza alcuna motivazione e siamo costretti a rimanere in attesa, anche per 48 ore di fila”, spiega un’altra tuta arancione.

"Il risultato è che in caso di emergenza vengono chiamate ambulanze distanti quasi venti chilometri - denuncia - significa che si dilatano significativamente i tempi d’attesa per i cittadini". E il tempo, in un mestiere come questo, è questione di vita o di morte. "Se una persona ha un problema serio e ha bisogno di un trattamento tempestivo, in una situazione come questa le possibilità di sopravvivenza diminuiscono", ci dice allargando le braccia. "Quello del blocco delle barelle è un fenomeno in costante e preoccupante aumento, gli operatori sono costretti a restare bloccati per ore in attesa che gli vengano restituite – spiega Alessandro Saulini, segretario aziendale del Nursind Ares 118 – questo determina una carenza di mezzi sul territorio, l’aumento dei tempi di percorrenza e, di conseguenza, un ritardo nel raggiungimento del target".

"Nei giorni scorsi – conferma – ci sono stati picchi di 50 ambulanze bloccate". Praticamente un mezzo su due è rimasto inchiodato nei pronto soccorso. "La Regione non interviene e quando lo fa si muove in ritardo", attacca Stefano Barone, segretario provinciale del Nursind. "A dicembre c’è stato un ampliamento dei posti letto, tra l’altro con reclutamento di personale con contratti atipici e attraverso agenzie interinali, per far fronte all’aumento dei ricoveri dovuti ai casi di influenza", ci spiega il sindacalista. "Ma la toppa non riesce a coprire il buco – denuncia – considerando i tagli degli ultimi anni voluti dalla giunta Zingaretti".

"Il punto è che gli ospedali sono invasi perché non ci sono presidi sanitari intermedi sul territorio - osserva Barone - all’interno dei nosocomi, per contro, non ci sono posti letto e si viaggia con i minimi assistenziali, ovvero con il personale che in condizioni normali sarebbe presente in caso di sciopero". "Basta un’assenza per malattia – sottolinea – per creare scompiglio e disagio all’interno dell’unità operativa".

A farne le spese sono i cittadini, ma anche il personale sanitario che sempre più spesso è preso di mira dall’utenza. "Le aggressioni, verbali e fisiche, sono in aumento, i dati dell’Inail sono a ribasso perché molti colleghi non denunciano", spiega il sindacalista, che invoca la presenza di posti di polizia all’interno di tutti i nosocomi.

"Non sarebbe una militarizzazione degli ospedali – chiarisce - ma un importante elemento di deterrenza".

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