Il nome da Rosa, il pungiglione da vedova nera e un sottile filo rosso con Vladimir Putin e le gerarchie di Mosca. Il dubbio cè e sannida nel «cursus honorum» che accompagna lirresistibile ascesa di Roza Otunbayeva trasformatasi da leader dellopposizione in nuova premier ad interim della Kirghizia. Una metamorfosi compiutasi dopo le 48 ore di sangue e violenza costate la vita a una settantina di persone e conclusesi con la fuga del presidente Kurmanbek Bakiev.
Ma i dubbi sulla nomina a nuovo leader della professoressa Otunbayeva, sulla rivolta lampo e sui reali motivi che lhanno innescata sono tanti. Il primo a ricordarlo è lo sconfitto Bakiev che dalla roccaforte di Jalalabad, una città del sud considerata lultimo bastione dei suoi sostenitori denuncia, implicitamente, il presunto ruolo di Mosca. «Non voglio indicare un Paese concreto dice Bakiev - ma senza forze esterne è praticamente impossibile compiere questa operazione ben coordinata».
Bakiev non è il solo a intravedere la lunga mano di Mosca dietro lirresistibile ascesa di questa 60enne professoressa di filosofia nominata nuova signora di un territorio strategico allintersezione tra la Cina e il Kazakistan, il Tagikistan e lUzbekistan. Una posizione destinata a trasformarla, in futuro, nel crocevia essenziale per il trasporto delle risorse energetiche nascoste nel sottosuolo di quei territori. Unubicazione che già oggi la rende indispensabile per garantire lapprovvigionamento delle truppe Nato in Afghanistan rifornite grazie ai collegamenti aerei tra la base Kirghiza di Manas e quella di Baghram. Se a queste considerazioni geografiche si aggiungono le voci sulla telefonata tra Rosa e Vladimir Putin che avrebbe fatto da prologo alla sollevazione di mercoledì allora lipotesi di una interferenza russa diventa quasi obbligata. Anche perché la signora Otunbayeva non è certo una mestatrice di primo pelo.
La storia di questa professoressa in tailleur e occhialini inizia a metà degli anni 80 dalla più grigia e incontrollabile periferia di un Pcus in avanzato stato di decomposizione. Lì la professoressa Rosa, laureata in filosofia allUniversità di Mosca, inizia a tessere la i contatti che le garantiscono, alla vigilia del grande crollo sovietico, un posto da ambasciatrice in Malesia. Quella sede diplomatica si rivela un discreto trampolino per rompere con il passato e tornare a riaffacciarsi sul palcoscenico della politica nazionale. Così quando Rosa torna a casa il nuovo presidente Askar Akayev laccoglie a braccia aperte. Alla disperata ricerca di una nomenklatura in grado di aiutarlo nel contesto internazionale il presidente la nomina ministro degli Esteri. Non appena capisce chi sè messo al fianco la spedisce di tutta fretta a far lambasciatrice negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Akayev seppur consapevole dessersi coltivato una serpe nel seno non riesce però a disfarsene.
Nel 2005 non appena incomincia ad annusare lodore di una nuova ribellione lincontrollabile professoressina abbandona i suoi incarichi diplomatici rientra nel Paese e si mette in testa a quella «rivoluzione dei tulipani» che travolge Akayev e porta al potere Kurmanbek Bakiev.
Il nuovo arrivato commette però lo stesso errore del suo predecessore, le apre le porte dellesecutivo e le affida la poltrona di ministro degli Esteri. Da lì la «vedova nera» ripete pedissequamente le sue mosse. Resta acquattata per qualche mese allombra del nuovo potente poi rompe gli indugi e gli dichiara guerra schierandosi al fianco della nuova opposizione. Ora dopo lumiliazione e la fuga il presidente Bakiev rifiuta di darsi per vinto e ripete di non aver alcuna intenzione di «abdicare dalle responsabilità e dalla carica di presidente».
Chi conosce i legami di Rosa e i complessi intrighi regionali giura però che il destino di Bakiev era già segnato nel febbraio del 2009. Allora Mosca gli promise prestiti per due miliardi di dollari e aiuti a fondo perduto per altri 150 milioni in cambio della cancellazione dellaccordo che garantisce a Washington lutilizzo della base di Manas.
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