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LA RUSSIA RICADE NELL’ANTICO VIZIO

Il simbolo della Russia è un’aquila a due teste. Una guarda a destra, l’altra a sinistra. Come Putin, l’enigmatico Putin. Oggi gli elettori si recheranno alle urne per rinnovare il Parlamento. Sarà un trionfo per Russia Unita, il partito del presidente; forse addirittura un plebiscito. Eppure servirà a poco, certo non a chiarire le intenzioni di un Paese eternamente lacerato tra Occidente e Oriente, tra ricchezza e povertà. Doppio come il suo simbolo, come il suo presidente.
Otto anni fa quanto Eltsin scelse come suo successore lo sconosciuto Putin, ci eravamo illusi che potesse essere davvero l’uomo del rinnovamento. Certo, quel biondino poco carismatico e dai modi un po’ bruschi aveva un passato da agente del Kgb, ma poi era stato uno dei collaboratori di Sobchak, il sindaco progressista di San Pietroburgo, e soprattutto sembrava mosso da una motivazione profonda, autentica, irresistibile, peraltro non nuova nel tormentato passato di questo Paese: colmare il distacco con l’Europa, assorbendone i valori più autentici: l’intraprendenza economica, lo sviluppo sociale, la libertà politica. In cuor suo Vladimir sognava di realizzare l’ambizione, eternamente frustrata, degli zar progressisti.
Ovvio, i metodi non potevano che essere russi, tanto più in un Paese stremato dalla crisi finanziaria del ’98 e moralmente umiliato. Durante il primo mandato Putin ripristinò la credibilità dello Stato, risollevò lo spirito del suo popolo. Con misure energiche? Senza dubbio, ma inevitabili in frangenti davvero critici e in una nazione tanto vasta da confinare a ovest con l’Europa e a est con la Cina. Nel frattempo varò riforme liberali per diffondere il benessere e far crescere, finalmente una classe media. Il finale era annunciato: trasformare la Russia in una vera democrazia.
Ha fatto tutto bene Putin, agevolato anche dall’aumento dei prezzi del petrolio e del gas di cui il Paese è ricco. Ma ha fallito l’ultimo passo. Lui che voleva essere il leader della svolta è finito come i Romanov, prigioniero delle logiche del potere o forse dell’animo, doppio, della sua nazione. Anziché dare libertà l’ha tolta. Non del tutto, ma in misura sufficiente a creare un regime ormai autoritario. Le elezioni di oggi non sono trasparenti, né corrette e, inevitabilmente, nemmeno risolutive.

Putin deve trovare un successore entro marzo, quando scadrà il suo mandato. Ma non sa come, forse nemmeno vuole. Cerca un fantoccio per continuare ad essere zar. Intanto stringe la morsa e la Russia anziché progredire, regredisce. Come sempre nella sua storia.
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