La «sacrestana rossa»: sì a tutti ma non a Letta

Caro Granzotto, mi scusi se torno alla carica, ma la sua risposta non mi ha soddisfatto. In buona sostanza, lei è per andare subito al voto o per cambiare prima la legge elettorale fosse anche coi tempi brevissimi - due mesi - che ha indicato? Mi risponda francamente.

La penso così, caro Goffredini: si presenta un’occasione per cambiare, in tempi brevissimi, l’attuale legge elettorale. Che in sé non è né buona né cattiva, ma favorisce un certo tipo di sistema, quello delle ammucchiate e della proliferazione dei partitini con ampio potere di ricatto. E con quel sistema, s'è visto, non si governa o si governa in continua, estenuante salita anche se l'esecutivo è forte e con le spalle coperte da una solida maggioranza parlamentare. Il sistema elettorale ovviamente non basta a garantire la governabilità. È già un passo (da gigante) avanti, ma per completare l’opera serve modificare i rugginosi regolamenti di Camera e Senato e dare qualche ritoccatina alla Costituzione, ma una cosa alla volta. Ora, si dà il caso che sia Berlusconi sia Veltroni, come a dire i capi dei due partiti più grossi, anzi, più grossissimi, concordino nel ritenere la governabilità il problema numero uno (quello numero due, non apertamente dichiarato ma facilmente deducibile dal dialogo a distanza, è stabilire un rapporto di reciproco rispetto fra maggioranza e opposizione, con il riconoscimento a quest’ultima del suo legittimo e democratico ruolo di critica e di incentivo). Si dà il caso, insomma, che ci siano le condizioni per far diventare adulto il Paese politico. L'occasione è ghiotta, vogliamo lasciarcela scappare?
Fino a questa mattina pensavo che no, non dovremmo lasciarcela scappare. Anche se ciò dovesse significare la rinuncia a mollar subito, domani, una liberatoria mazzata fra capo e collo alla sinistra spocchiosa e ribalda. Ma stamane m’è capitato sott’occhio questo titolo della Stampa: «Letta premier? Non possiamo dire sì a tutto». Ad affermare ciò, riferendosi a Gianni Letta, non all'ulivista Enrico, è Rosy Bindi. Non è un mistero che fra le poche carte in mano a Napolitano ci sia quella, alta, di Gianni Letta al quale chiedere di guidare un esecutivo «del presidente» per il tempo necessario a varare la nuova legge elettorale. Quello di Letta è un nome che, si assicura, per correttezza e innata disposizione alla quadratura dei cerchi non dispiacerebbe a Veltroni. E nemmeno, mi pare evidente, a Berlusconi. Ma che alla sacrestana rossa, alla prodiana viscerale, alla petulante mademoiselle Rosy Bindi non va giù. «Non possiamo dire sì a tutto». Lei, che dice sì a Pecoraro Scanio, a Vladimir Luxuria o a Francesco Caruso, dice no a Gianni Letta. E lo fa con tono sprezzante, come a far capire: sarebbe il colmo.

Be’, vuol saperlo, caro Goffredini? Leggendo quel titolo e non dimenticando che la sinistra brulica di Rosy Bindi con o senza gonna, sapendo che l'anima, l’essenza della sinistra è il bindismo ottuso, fesso e saccente, è tornata a prevalere in me la voglia irrefrenabile di mollar loro subito, senza pensarci due volte, la mazzata. Poi magari mi passa, ma oggi a questo aspiro: a far neri i Bindi e le Binde.

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