Saggi Dal patriottismo di De Amicis alle malignità sui soliti «maccaroni»

Identità nazionale, unità, risorgimento, italianità. Tutte parole che usiamo spesso, soprattutto in periodo di anniversari e ricorrenza ma su cui in Italia la riflessione è spesso superficiale o venata di ideologia. Espressioni su cui molti hanno un’idea «a prescindere», buona o cattiva che sia. Un’idea spesso ereditata da qualche vecchio manuale scolastico o da qualche invettiva ricorrente. Chi da nord a sud non ha sentito pronunciare almeno un «maledetto Garibaldi» o un «se Cavour si fosse fatto i fatti suoi». Eppure in qualche modo nessuno può negare che, dalle Alpi a Lampedusa, esiste un quid che ci tiene assieme, un quid che andrebbe pensato, valutato e che non può essere ridotto a una maglia azzurra indossata aspettando un gol (che a volte arriva, a volte no). Tanto più che, ormai, è evidente la necessità di integrare migliaia di stranieri; ma per farlo, scegliendo chi può entrare e chi no, è anche necessario sapere a cosa integrarli.
E nello sforzo di pensare questo «qualcosa» ci sono alcuni libri che potrebbero essere utili, alcuni usciti anche sull’onda dell’avvicinarsi dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Ad esempio su come sia stata diffusa (seppure poco e male) l’idea di patria nel nostro Paese è utile uno studio promosso dal collegio Ghislieri di Pavia: Patrioti si diventa. Luoghi e linguaggi di pedagogia patriottica nell’Italia unita (Franco Angeli, pagg. 240, euro 22). Racconta come sia stata veicolata l’idea di nazione in quegli anni in cui le élite culturali a partire da Edmondo De Amicis avevano ancora il coraggio, o l’interesse, di prestare le loro arti al sostegno della diffusione di «un’idea d’Italia». La voce dello scetticismo esterofilo che ai destini magnifici e progressivi d’Italia non ha mai creduto si ritrova bene in L’unità debole. Lettere dell’ambasciatore George P. Marsh sull’Italia unita (L’Ornitorinco, pagg. 308, euro 25). Si tratta degli scritti del ministro plenipotenziario della missione statunitense in Italia nel 1865: tra documenti e missive private emergono tutte le critiche alla politica dei governi post-unitari nel loro tentativo di creare una nazione senza scontentare i potentati locali. Invece, il più divulgativo 1848, l’anno della rivoluzione di Mike Rapport (Laterza, pagg. 580, 24) racconta della «primavera dei popoli» che scosse l’intera Europa e diede l’abbrivio definitivo a quel sentimento nazionale che portò Italia Germania e Ungheria a sentirsi davvero nazioni.

Insomma, di una rivoluzione in cui il sentimento di identità era ancora un valore. Proprio quel valore che forse noi abbiamo perso per strada, anzi che a molti italiani, soprattutto se intellettuali, ormai pare inelegante.

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