di Giancarlo Lehner
Dai laici mi guardi Iddio, che dai preti mi guardo io.
Appresa la notizia della possibile traslazione della salma di Giovanni Paolo II da Roma a Cracovia, sulle prime ho pensato ad uno scherzo di cattivo gusto, se non peggio, visto che rimanda alla riesumazione di papa Formoso (891-896), ordinata dal pontefice Stefano VI. La salma di Formoso - 897 d.C. -, nel corso del cosiddetto «Sinodo del cadavere», fu rimessa sul trono in San Giovanni in Laterano, ed ivi, per la gioia degli avvocati accompagnatori, sottoposta a pubblico processo, con tanto di interrogatorio da parte delle toghe rosse cardinalizie. Un cretino, pardon, un pretino, fu incaricato di rispondere in luogo di Formoso, ovviamente confessando tutti i reati del mondo.
Il macabro rituale andò avanti con il taglio di tre dita della mano, quelle usate per consacrare, e lo strappo delle vesti papali. Alla fine della loro Mani pulite, pardon, troncate, Stefano VI ed il pool cardinalizio, che Dio li abbia in gloria, condannarono il morto a morte, nonché alla gogna ed allo scempio, avendo ordinato di trascinarlo ed esporlo al pubblico ludibrio per le strade di Roma e, in ultimo, di gettarlo alle ruelle del Tevere.
Comunque, la notizia riguardante la traslazione di Wojtyla è vera. Qualcuno ha proposto davvero lo spostamento. Certo, oggi, si tratterebbe non di processo post mortem, bensì di ritorno, con tutti gli onori, in patria; tuttavia, solo un grullo matricolato può dimenticare che i pontefici son di sepolcro a Roma e che, giammai, possono essere derubricati nei cimiteri delle periferie.
Possibile che i cattolici polacchi abbiano perduto la testa, sino a voler provincializzare il Papa più universale, cioè, alla lettera, più cattolico, della Historia? Nel corso dellindagine, è saltato fuori che i primi a respingere siffatta ipotesi sono proprio i sospettati, dalluomo della strada sino ai vertici del clero.
Il cardinale Stanislaw Dziwisz, ad esempio, non ha voluto neppure commentare, ribadendo che «il corpo del Papa polacco non deve essere toccato». Il cardinale Tadeusz Pieronek sè sdegnato: «Tali panzane non possono essere prese sul serio. Non so perché se ne parla. Non cè al mondo posto più degno di ospitare i resti di Giovanni Paolo II della Basilica di San Pietro».
Padre Grzegorz Rys, storico del cattolicesimo e rettore del seminario superiore di Cracovia, ha aggiunto: «Nella chiesa polacca non credo che ci sia nessuno interessato alla traslazione
». Insomma, neanche i «leghisti» di Cracovia centrano qualcosa con questa boutade estiva. Col caldo, si sa, le allucinazioni mediatiche colpiscono a fondo lumanità dei bischeri. Già nellafa dellanno passato si lessero sfracelli, anzi macelli, sui resti dellindimenticabile Giovanni Paolo II. Fu annunciato, infatti, che sarebbe stato fatto a pezzettini, per la soddisfazione dei fanatici delle reliquie: il cuore espiantato e trasferito tra le glorie nazionali del castello di Wawel; le ossa fratturate e assegnate qua e là con apposita lotteria. Alcuni parroci creduloni, storditi e travolti da siffatto sadico vociare, nel 2008, tempestarono i rispettivi vescovi, prenotando schegge di omeri, rotule, tendini, ulne, malleoli, per rendere illustri le loro chiesette e accrescere il numero dei fedeli. Presi dallentusiasmo di poter vincere un osso di Papa, ignoranti totali di escatologia, non misero a fuoco che, giunta la fine del mondo e assegnate in eterno o la beatitudine o la dannazione, nella valle di Giosafat le anime dovranno rivestire corpi presumibilmente interi e non scampoli residuali. Allora, per mettere la parola «fine» a tante stupidaggini, dovette intervenire Dziwisz a ribadire che «le uniche reliquie sono lultima cartolina scritta dal papa e la registrazione della sua voce con laddio ai fedeli».
Questa volta, però, per la grottesca reductio a papa Formoso di Giovanni Paolo II, non hanno colpa né i preti cracoviani di campagna, né Radio Maria e tantomeno i cattolici polacchi in generale, i quali, anzi, offesi e indignati, giustamente protestano.
Cu fu e chi fu? Alla fine dellinchiesta, vero colpo di scena, ecco lamara e triste verità: culpa tota nostra est.
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