Maria Sorbi
A volte è sottile ma costante, altre acuto e pungente. E non molla mai la presa, facendoci diventare matti. Nelle sue mille forme, il dolore è tanto difficile da descrivere e misurare quanto da placare. Ma non è impossibile da calmare.
Qualsiasi sia la sua origine (colonna in toto, testa, aderenze post interventi chirurgici, processi infiammatori articolari e sistemici, esiti di trattamenti terapeutici, nevralgie, fibromialgia) si può combattere. E a breve anche i tempi della diagnosi (che ora mediamente superano i due anni) non saranno più di sei mesi. Già è così nelle regioni in cui è stato creato un «centro del dolore hub», cioè una struttura insieme ad una rete in grado di seguire passo passo il paziente senza farlo rimbalzare da uno specialista all'altro in balia di se stesso. Uno staff di medici e psicologi analizza tutti gli aspetti in questione e sceglie la via migliore per dare sollievo.
QUESTIONE DI TESTA
Non si ragiona più solo sull'intensità del male - come accadeva trent'anni fa - ma si ripercorre a ritroso il meccanismo del dolore, fino a scovare la sua causa. A quel punto, si lavora su diverse variabili cercando di correggere il livello della sofferenza. La sfida dei prossimi anni è fare in modo che il dolore non si cronicizzi. Se i pazienti vengono trattati nel modo giusto fin da subito, è possibile prevenire le situazioni più difficili ed evitare che si radichino.
Per chi soffre di dolore cronico, il supporto psicologico è fondamentale. «Spesso i malati soffrono da così tanto tempo che non ricordano più cosa voglia dire stare senza dolore. Il dolore diventa globale, una malattia - spiega Paolo Notaro, responsabile del centro di Terapia del dolore dell'ospedale Niguarda di Milano -. Si innescano dei meccanismi di difesa e non si riesce più a riprendere la vita di prima. Nemmeno quando il problema è stato risolto. Noi diamo anche supporto psicologico perché i pazienti non si sentano dei malati immaginari. Non lo sono affatto e, men che meno, sono matti. Semplicemente in loro è cambiata la capacità percettiva e la conduzione dello stimolo doloroso. Per capirsi, è come la sindrome dell'arto fantasma: ci sono pazienti che accusano dolore (vero) per la gamba che non c'è più».
Altro aspetto fondamentale da considerare è il percorso da cui arriva il popolo di chi soffre senza tregua: hanno già provato di tutto, si sono imbottiti di farmaci e di psicofarmaci, con tutti gli effetti collaterali del caso. Sia perché hanno «pasticciato» con le terapie, sia perché hanno maturato una forma di assuefazione. O semplicemente perché hanno seguito le cure sbagliate. Ad esempio: anche l'uso degli oppiacei maggiori contro i dolori dell'emicrania spesso non serve a molto. Di contro, la cannabis può dare buoni risultati per ridurre la nausee post chemioterapia.
COME SI MISURA
Sembra che non ci sia nulla di più soggettivo. Ciò che è insopportabile per alcuni è assolutamente tollerabile per altri.
Ma come si misura il dolore? Al momento non esistono strumenti che lo rilevino in modo oggettivo. Ci sono però scale di misurazione che cercano di tradurre in numero o parola l'intensità del male: da zero a dieci, da «assente» a «intollerabile». La scala più completa è la MPQ (McGill Pain questionnaire): 102 termini per descrivere sfumature e picchi. Altre scale più specifiche permettono di indagare: il livello di disabilità legato alla cefalea costante, lo stato di salute globale del paziente, la parabola del dolore nei vari momenti della giornata. In base ai risultati dei test, si possono studiare le cure più adatte, su misura.
COME SI CURA
Farmaci, tecnologie e mini interventi. A seconda del tipo di dolore, i medici consigliano una terapia differente. In ambito farmaci, si procede per step: prima con salicilati, antinfiammatori e paracetamolo. Poi con oppiacei blandi. Se non basta, si ricorre a quelli di derivazione morfinica.
In aggiunta, l'Organizzazione mondiale della sanità consiglia anche la prescrizione di antidepressivi e ansiolitici per ridurre effetti secondari come depressione e insonnia. Molto utili anche alcune tecniche infiltrative e di blocco nervoso periferico che, di fatto, interrompono la percezione del dolore lungo le vie che portano lo stimolo al cervello. «Là dove il farmaco non arriva, interveniamo con la tecnologia - spiega Notaro - Ad esempio con i cosiddetti pacemaker del dolore (neurostimolatori), creando un campo elettrico che ne altera la percezione.
O con la neuro-crio-modulazione, intervenendo a meno 78 gradi sulla parte nervosa che veicola il dolore». Al centro di Terapia del dolore del Niguarda, i medici danno anche consigli preziosi su alimentazione e stile di vita e forniscono supporto alle famiglie dei malati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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