In Italia si vive più a lungo

L'aspettativa di vita supera gli ottant'anni per i bambini che nascono oggi

Luigi Cucchi«Negli ultimi quarant'anni, durata della carriera professionale di un medico, si sono registrati cambi epocali della medicina rispetto a numerose condizioni di malattia», afferma il professor Pierluigi Viale, direttore della clinica di malattie infettive dell'Ospedale S. Orsola di Bologna e dirigente della Società italiana delle malattie infettive e tropicali. «I trapianti di organo non sono argomenti da libri di fantascienza, ma una procedura terapeutica riconosciuta per svariati organi; il tumore non è una malattia associata a morte sicura ma è divenuto un grave problema contro cui, in molti casi, si può combattere ed in alcuni guarire; le patologie immuno mediate hanno prospettive terapeutiche impensabili solo dieci anni orsono; ai pazienti malati di HIV si può prospettare realmente un futuro; una parte crescente della popolazione convive normalmente con protesi che spesso li hanno riportati ad una qualità di vita del tutto normali; la dichiarazione di inoperabilità del paziente è sempre meno frequente nel mondo chirurgico; malattie come il diabete, le malattie coronariche, l'insufficienza renale, la cirrosi epatica, le bronchiti croniche ostruttive hanno prospettive di sopravvivenza sempre più lunghe». É lungo l'elenco di conquiste in cui l'Italia non è seconda. Secondo il rapporto World Health Statistics 2015 della Organizzazione Mondiale della Sanità il nostro Paese è al secondo posto nel mondo per aspettativa di vita: ormai largamente superiore agli 80 anni per i bimbi di oggi. É un risultato da ricordare.«Tutti questi miglioramenti hanno un rovescio della medaglia: il rischio infettivo. I pazienti anziani soprattutto e poi tutti coloro che presentano una certa fragilità sono accomunati da un rischio infettivo elevato quanto persistente, perché vivono a lungo con uno status immunologico non ottimale. Queste persone sono particolarmente soggette ad infezioni sostenute da microrganismi normalmente poco aggressivi che diventano invece killer pericolosi quando si confrontano con un macrorganismo non perfettamente in grado di difendersi. L'equazione del rischio infettivo è cambiata in questi anni - spiega il professor Viale - a favore della popolazioni microbiche, che sono ecologicamente avvantaggiate rispetto ai macrorganismi. E la migliore testimonianza di questo vantaggio evolutivo è la progressiva selezione di specie e ceppi resistenti agli antibiotici, conseguenza estrema di un utilizzo eccessivo dei farmaci non sempre in modo appropriato».Sono passati poco più di 70 anni dall'introduzione in commercio del primo antibiotico e già si manifestano le prime ombre di una possibile era post-antibiotica; la risposta del mondo medico a questo problema è difficile ma la soluzione esiste. «Non sta solo nella ricerca scientifica - conclude il professor Viale - che si sta muovendo verso nuovi paradigmi e terapie. Sta anche nell'acquisire da parte della classe medica una maggiore responsabilizzazione rispetto alle prescrizioni, uscendo dall' individualismo terapeutico.

Questo ambito gestionale e scientifico è una delle sfide dell'infettivologia: difficile ma percorribile se si sapranno mantenere due aspetti fondamentali della professione medica, onestà intellettuale e multidisciplinarietà. Di fronte a questo problema la classe medica ha bisogno di adeguato supporto politico e sociale». In particolare per la tutale della responsabilità civile e penale.

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