C’era una volta un Nicolas Sarkozy che faceva venire in mente la publicità di una famosa marca di pile. Quella in cui si vedeva un orsetto tamburino che trottava instancabile -il sorriso sfacciato dei vincenti stampato sul volto- distaccando tutti gli altri animaletti di pezza che lo seguivano, destinati a bloccarsi con una bacchetta in aria. Così era, una volta, il presidente dei francesi; ed è vero che da allora ne è passata, di acqua, sotto i ponti di Parigi. Ma a vederlo così amareggiato, depresso, svogliato; a sentirgli dire, come se la nave per Sant’Elena fosse già pronta a salpare, che se perde alla prossime elezioni si ritira per dedicarsi di più alla famiglia, stringe il cuore. E a leggere che, insieme con altri alti papaveri del suo entourage si sta preparando, come fecero i Blair, i Clinton, i Kissinger una carriera di ripiego, fatta di conferenze, di libri da scrivere, di Paesi del Terzo Mondo da percorrere con la mano benedicente, a far l’inviato dell’Onu come una qualsiasi Angelina Jolie, si resta allocchiti.
È una tattica? O si è davvero convinto che i giochi son fatti e niente va più, come dicono da mesi i sondaggi che lo vedono perennemente distaccato rispetto al suo sfidante, il socialista Francois Hollande? Conoscendo l’uomo, il suo carattere, la sua vitalità, converrebbe adottare una certa prudenza prima di darlo per spacciato, politicamente. È quel che dice anche sua moglie, Carla Bruni. «Mio marito non è affatto scoraggiato. Non è nel suo carattere», ha confidato ieri l’altro a Liberation la prèmiere dame provando a scacciare gli uccelli del malaugurio che da settimane roteano sulla testa del consorte. E ancora: «Se dovesse essere candidato, cosa che spero per la Francia, darà tutto se stesso. Ha una carica eccezionale, perfetta per questa funzione». Se poi invece… «Se poi invece non fosse rieletto, volterà pagina, completamente. È saggio prepararsi ad ogni eventualità», ha concluso realistica Carlà. Mai dire mai, dunque. Anche se mai come stavolta il confronto tra le anime degli sfidanti è anche il confronto fra due modi di divinare e di promettere il futuro al tempo della crisi. Meno euforico, e più realistico, (e forse per questo più perdente in partenza) il Sarkozy reduce dai pellegrinaggi a Berlino deciso a dire la verità ai francesi: e cioè che la crisi è una roba vera, e che non riguarda solo i greci e gli italiani; e che ci vogliono sacrifici, e riforme strutturali; che bisognerà lavorare di più e andare in pensione più tardi, e che la favola bella delle 35 ore, ahimè, si è rivelata quel che era: una favola, appunto. Tutto il contrario di Hollande, che punta come se fossimo ancora ai tempi di Mitterrand sulla favola bella di un domani migliore e sulle solite promesse di giustizia, di fraternité e di égalité, e insomma sul vasto panorama di chiacchiere in salsa socialista che forse proprio perché i tempi son grami son capaci di mesmerizzare le masse che chiedono sogni, suggestioni, miracoli. Gli ultimi sondaggi, impietosi nella loro ripetitività, puniscono Sarkozy senza speranza, premiando la ricetta Hollande anche in tema di sicurezza; mentre su un tema come l’immigrazione è Marine Le Pen, leader dell’estrema destra, a fargli attorno terra bruciata. Sicchè non stupisce che il neo papà di Giulia, la bambina avuta pochi mesi fa da Carla Bruni, vedendo la mala parata la butti in filosofia, e citando Pascal e Gramsci vagheggi per sè una dimensione più umana, meno iperbolica e vitalistica di quella perseguita fin qui, ricordando che «tutto è organizzato perché l’uomo dimentichi che deve morire», e che «il vecchio mondo è morto e il nuovo stenta ad apparire».
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