Politica

Sartori e il clima La scienza infusa del prof Arroganza

Giovanni Sartori non ha gradito le mie critiche al suo fondo di Ferragosto sul Corsera, e non sapendo se tacere e lasciare dubbi sulla propria attendibilità o parlare e togliere ogni dubbio ha scelto di afferrare questo secondo corno del dilemma. Nel Corsera di ieri, forse per mancanza di argomenti ma sicuramente con squisita classe, mi chiama, nell’ordine: «zoticone», «spudorato mentitore», «stupidotto», «raccomandato», «chimico di piccola o nessuna fama».
Lo «zoticone» mi sorprende un po’, visto che io lo avevo omaggiato «raffinatissimo politologo». Boh. Quanto al «bugiardo-stupidotto»: io scrissi che da alcuni anni, ogni Ferragosto, Sartori pubblica lo stesso articolo, mentre egli dice che no, lui ha scritto solo sullo stesso tema (ecologia) e io sarei «stupidotto» ad accusarlo di ciò, perché sarebbe «come accusare un economista di scrivere sempre di economia» (ma Sartori è politologo o ecologo?). Comunque, siccome la cosa è facile da verificare io la ribadisco. Sartori ha scritto sempre lo stesso articolo, e cioè: «Il clima cambia e la colpa è dell’uomo; il quale ha anche la colpa, ancora più grande, di far figli; e la responsabilità morale è di Bush e di Berlusconi, in ordine al primo crimine; e del Vaticano, in ordine al secondo crimine». Per la precisione, Sartori ripete non solo le stesse idee, ma anche le stesse parole, come quando, con la classe che lo distingue, ha chiamato Bush, che non ha voluto aderire al Protocollo di Kyoto, «texano tossico» sia nel Ferragosto 2009 che in quello del 2005. Inviterei il neo direttore del Corsera a controllare da sé, andando a rileggersi le edizioni di Ferragosto degli ultimi anni. E, magari, riflettere sull’onestà intellettuale del suo editorialista. Perché, vedete, se l’ignoranza di Sartori era perdonabile nel 2005, non lo è più da allora, perché nello stesso 2005 gli spiegammo che la non adesione a quello stupido protocollo di Kyoto fu, innanzitutto, una decisione del Senato americano, presa all’unanimità (95 a zero) in piena amministrazione Clinton (con Al Gore suo vice).
Sartori mi dà del «raccomandato» perché scrivo sul Giornale (e voi che lo leggete, Dio mio, cosa siete?) e perché Silvio Berlusconi mi ha onorato della sua presentazione ad un mio libretto del 2007. Si consoli: la scorsa settimana è uscito un mio libretto - Energia nucleare, sì, per favore (XXI secolo Editore) - onorato delle presentazioni di Antonino Zichichi e Renato Brunetta.
Esaurita la classe il nostro politologo-ecologo entra nella sostanza delle cose e mi contesta che per raggiungere l’obamiano obiettivo di ridurre le emissioni di Co2 dell’83 per cento entro il 2050 non v’è alcuna ragione, come da me figurato, che l’America le riduca al ritmo costante del 4,2 per cento l’anno. Certo che no: per quel che mi riguarda, l’America potrà anche non sottrarre alcuna molecola di Co2 fino al 2049 e operare la riduzione tutta nell’ultimo anno; o qualunque altra combinazione vi venga in mente. La riduzione a ritmo costante è solo quella più indolore e che garantirebbe più probabilità di successo. Se questo al Corsera non lo capiscono, non posso farci niente se non consigliargli di rifletterci un po’ su.
Sartori conclude sorprendendoci due volte: la prima, quando sbotta sostenendo che «la scienza procede sulla base del consensus scholarum»; la seconda, quando ci informa di aver sempre insegnato metodologia della scienza. No, professore: che la scienza proceda sulla base del consenso è una panzana, e tale rimane anche se lei la formula in latinorum. La scienza non procede sulla base del consenso, mai lo ha fatto e mai lo farà. Anzi, dirò di più: se la scienza facesse affidamento al consenso per procedere, essa sarebbe immobile. La locuzione «consenso scientifico», professore, è, nel contesto del metodo scientifico, un ossimòro: rifletta anche su questo, e riveda le sue lezioni, professore.
Concordo con Sartori solo quando nel suo articolo di ieri ha concluso: «Ne so molto più di lei, professor Battaglia».

Non è difficile saperne più di me, sa? Sono come l’Earnest di Wilde, e se mi si chiede se io sia uno di quelli che sa tutto o niente, rispondo, proprio come Earnest, senza tentennamenti: io sono uno di quelli che non sa niente.

Commenti