Lo scoglio aborto nei rapporti Vaticano-Cuba

Rino Cammilleri

Nei lunghi anni della guerra fredda l’östpolitik vaticana verso l’Urss fu ampiamente criticata dalla cosiddetta «chiesa del silenzio», cioè i cristiani perseguitati nell’impero sovietico. E anche molti dissidenti laici non furono affatto d'accordo con le «aperture» di Casaroli, perché, sostenevano, solo le ferme denunce avevano il potere di alleggerire la pressione del regime sui credenti, laddove l’entente cordiale aveva il solo risultato di zittire vieppiù la «chiesa del silenzio» e consentire al potere sovietico di attuare, al riparo delle buone relazioni di vertice, tutti i giri di vite che voleva. Il crollo dell’Urss è stato unanimemente giudicato per nulla dipendente dalla östpolitik; al contrario, proprio l’incoraggiamento di Giovanni Paolo II alla resistenza degli operai polacchi di Solidarnosc diede la prima spallata alla cortina di ferro. Ora la faccenda sembra ripetersi con la Cina, i cui dirigenti sorridono alla mano tesa vaticana ma continuano imperterriti a perseguitare i credenti.
È poco noto il fatto che i cinesi, da migliaia di anni, sono abituati a considerare se stessi il centro dell’universo: non a caso chiamano «Paese di mezzo» il loro. Praticamente atei da sempre (confucianesimo e taoismo sono infatti filosofie), l’ideogramma cinese che rappresenta l’Imperatore è sormontato da una linea che sta per il cielo; cioè, sopra di lui non c’è altro. Da qui l’idolatria per Mao, a suo tempo, e la perdurante ostilità per la religione dei «barbari» occidentali, la cui fedeltà a Roma più che a Pechino è in Cina incomprensibile. Nel caso dell’unico regime marxista dell’emisfero occidentale, Cuba, la faccenda di un’östpolitik «à la sovietique» rischia davvero di ripetersi col nuovo Segretario di Stato vaticano, Bertone, che a Cuba è stato recentemente. Su La Stampa del 3 settembre ha dichiarato che «non c’è dubbio che Fidel tiene conto dell’azione della Chiesa a Cuba». Ma, a parte il tono confidenziale, bisognerà vedere in che senso «Fidel» ne «tiene conto». Bertone portò a Castro il saluto del papa e, «nonostante le critiche degli esuli cubani», ne tornò con una richiesta di aiuto «per combattere la piaga dell’aborto» a Cuba. Ora, proprio un esule cubano in Italia, Joel Rodriguez, indirizzò in quell’occasione al cardinale una lettera aperta apparsa sul web e giratami da un lettore. «Mi pare molto strano che Fidel Castro chieda aiuto per risolvere un problema creato da lui, creato per il suo regime. L’aborto in tutti gli anni di questo regime è stato un affare», scrive.
Pare infatti che una donna che voglia abortire, a qualunque età e in qualunque mese di gravidanza, debba portare «in cambio» un donatore il cui sangue sarà poi venduto all’estero contro buona valuta, di cui il regime castrista è sempre affamato. A Cuba il turismo sessuale e la crisi demografica sono, sì, causa e conseguenza della diffusione dell’aborto, ma ciò «è colpa di un regime totalitario che per oltre quaranta anni ha vietato la fede, ha ridotto alla povertà totale, ha tolto ogni speranza».

Insomma, anche nei confronti del comunismo cubano l’östpolitik vaticana rischia di produrre gli stessi effetti-boomerang che ebbe a suo tempo con i sovietici.

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