In epoca di assortiti e contrapposti integralismi, mancavano giusto i fan degli U2 per far risuonare unulteriore campana nel già cacofonico concerto dei fondamentalismi. Il fatto che Bono abbia accettato lonorificenza di cavaliere dellimpero britannico, concessagli dalla regina Elisabetta - e già in passato elargita ai Beatles, al sulfureo Mick Jagger, al satanista Jimmy Page e a un nutrito drappello di enfants terribles - ha indignato i duri e puri del rock «arrabbiato», abituati a considerare lautore di Sunday bloody sunday come un incrocio tra Che Guevara e il Cristo che caccia i mercanti dal tempio. «Dovè il Bono nemico dellestablishment? Che fine ha fatto lautore di How long must we sing this song, linno della lotta contro il dominio di Londra nellIrlanda del nord?», sono alcune tra le domande retoriche che vanno scorrendo nei blog.
È probabile che Bono, che a certi atteggiamenti tribunizi accompagna uno spiccato pragmatismo, terrà in non cale le polemiche, andrà a Buckingham Palace a ritirare lonorificenza reale, ringrazierà con un impeccabile inchino e tornerà a lavorare sui fronti paralleli della musica e delle nobili cause. Non è la prima volta che lo sdegno dei fan più intransigenti bersaglia il leader degli U2 lasciando il tempo che trova. Già nell87 la sua denuncia dei terroristi dellIra gli attirò gli anatemi degli irrendentisti irlandesi, e più di recente i laburisti di quel paese hanno criticato la scelta di spostare la società degli U2 in Olanda, dove il fisco è meno esoso. Né miglior esito ha avuto lacquisizione dun bel po dazioni della rivista ultraliberista Fortune. Tempo addietro, poi, nellambito della sua campagna per la riduzione del debito ai paesi africani, Bono incontrò Bush e neppure questo piacque a molti: «Ma per assicurarmi qualche donazione andrei a pranzo anche col diavolo», ribatté lui, pacioso. E anche The Edge, il chitarrista degli U2 che aveva assai criticato quellincontro, dovette ammettere che «alla fine aveva ragione lui». Tanto più che, ieri, sarebbero stati i democratici Usa, durante un incontro con Bono, a sabotare lo stanziamento di un miliardo di dollari contro lAids in Africa, proposto proprio da Bush.
Dunque se, come diceva Machiavelli, il fine giustifica i mezzi, sarà il caso di inscrivere il cantante irlandese tra i cultori di quella realpolitik che ebbe in Willy Brandt e nel cardinale Casaroli due illustri esponenti: cui le polemiche non impedirono di trattare perfino con gli eredi di Stalin, a vantaggio della pacificazione.
La scomoda realpolitik di una rockstar
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